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Ta Te Ti To Tr Tu Ty
Tac Taj Tal Tan Tar Tav

Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  ISBN: 978-88-941045-8-5

  A cura di Pantaleone Sergi

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Tallarico, Federico (“Frico”)

Federico Tallarico [Marcedusa (Catanzaro), 20 gennaio 1917 - Catanzaro, 6 luglio 2010]

Federico Tallarico.  nonostante potesse godere del rinvio per il servizio militare, perché iscritto all'università , decise di partire volontario. La scelta, come lui stesso in anni più tardi ricorderà , nasceva dal suo spirito patriottico e dalla forte influenza che il fascismo aveva esercitato sui giovani della sua generazione. Venne prima destinato come soldato a Bergamo presso il 78 ° Reggimento fanteria "Lupi di Toscana" e poi promosso sergente. Dopo tre mesi iniziò a frequentare la Scuola allievi Ufficiali di Salerno diventando sottotenente, venne assegnato prima al 90 ° Reggimento di fanteria «Superga » e poi al 91 ° Reggimento, sempre della stesa divisione di stanza a Torino. Al momento della dichiarazione dell'armistizio, l'8 settembre 1943, prestava servizio a Collegno, dove faceva l'istruttore in un reparto di richiamati.    Dopo l'armistizio, non potendo ritornare in Calabria, insieme ad alcuni suoi soldati, trovò rifugio nella Pineta di Piussasco e successivamente sulle Prealpi torinesi. Nei giorni successivi cominciò a prendere contatti con le prime formazioni, in particolare con un generale ad Avigliana con nome di battaglia "Verde". Proprio in uno di questi incontri con il generale ad Avigliana fecero irruzione nell'abitazione dei soldati tedeschi. Riuscì a mettersi in salvo fuggendo da una finestra, da qui la decisione di nascondersi in montagna facendo perdere le sue tracce. In questo periodo insieme al fratello Antonio, che nel frattempo l'aveva raggiunto in Piemonte dalla Croazia, furono ospitati a Grugliasco della famiglia Chazalettes. In un contesto di clandestinità  fu informato dell'organizzazione di gruppi armati da parte del calabrese Giulio Nicoletta. Per questo nel mese di febbraio decise di spostarsi in Val Sangone per prendere contatti con Nicoletta. Proprio insieme a quest'ultimo cominciò ad avvicinare i soldati sbandati presenti nel territorio e ad organizzarli in reparti di resistenza armata strutturati in bande autonome. I tedeschi in segno di disprezzo li chiamavano "Badogliani", ma in realtà  Tallarico si considerava un patriota che aveva sentito il dovere di continuare la guerra contro l'occupante tedesco.
Dal primo nucleo operante in Val Sangone si formarono cinque brigate tra cui quella di Tallarico, che dal suo nome di battaglia venne chiamato "Frico". Ben presto anche la sorella Nina, giovane universitaria in medicina, decise di raggiungerlo. Negli ultimi mesi del 1943 Tallarico e la sua brigata cercarono di sfuggire alla cattura dei tedeschi riparando in montagna. Riuscì in questo periodo insieme ad altri tre giovani partigiani a requisire alcune armi presenti in un convento di frati maristi a Grugliasco. Erano le armi di un reparto radiotelegrafista che si era stanziato nel convento, ma che alla notizia dell'armistizio era andato via.
Tra l'autunno 1943 e l'estate 1944 furono molte le azioni portate avanti da Tallarico e dalla sua brigata. Durante le operazioni militari a Cumiana, quando tre bande partigiane attaccarono i nazifascisti che presiedevano il paese, la brigata di Tallarico fece 36 prigionieri, fra cui un tenente, due brigadieri della guardia repubblicana e tre militari tedeschi. In quella occasione, dopo la richiesta di resa da parte tedesca, Tallarico fece scendere i nazifascisti disarmati e a mani alzate per poi condurli sul colle Crocetta e con un camion portarli in montagna. Nonostante i tentativi in questo periodo da parte dei commissari politici di Giustizia e Libertà  di fare aderire la brigata "Frico" alla loro Divisione, Tallarico preferì mantenere la propria autonomia, perché, come lui stesso ricorderà , con i suoi uomini non aveva maturato una precisa convinzione politica. In questo periodo grazie ad un'azione militare concordata con il Comitato liberazione nazionale riuscì a far liberare Vincenzo Pompegnani. Un duro scontro invece si verificò con la Guardia nazionale repubblicana quando un gruppo di brigatisti neri con dei camion e un'autoblinda raggiunse nella la brigata "Carlo", accampata in località  Pra Fioul. Dopo un duro combattimento i fascisti diedero fuoco ad un albergo e ed alcune baite. La brigata "Frico" di Tallarico, essendo la più vicina, si apprestò ad intervenire disponendo uomini e fucili mitragliatori presso le curve della strada che i fascisti dovevano percorrere per raggiungere la loro base. Appena il gruppo di brigatisti neri giunse, i partigiani aprirono il fuoco causando molte perdite tra i fascisti.
Nell'estate 1944 Tallarico e la sua brigata operarono presso la Fiat, anche se non riuscirono a compiere azioni di sabotaggio dirette a distruggere o danneggiare le autovetture pronte per essere inviate in Germania. Il 22 giugno, invece, asportavano sacchi di farina e di riso da un magazzino militare di Orbassano. Durante l'estate quasi ogni notte le squadre volanti della brigata "Frico" scendevano verso Torino per atti di sabotaggio, requisizioni e imboscate. All'interno di queste operazioni, a metà  agosto, venne portato avanti l'assalto alla stazione radio-faro che i tedeschi avevano impiantato per guidare l'atterraggio notturno degli aerei. L'operazione si svolse in una località  fra Piscina e Airasca, dove erano accampati oltre cinquemila nazifascisti. L'attacco era stato preparato con precisione. Durante la notte, partiti da Giaveno su tre automezzi, Tallarico e i suoi uomini giunsero in un bosco a poca distanza dal luogo. Camminando raso terra riuscirono a raggiungere l'obiettivo facendo prigioniere tutte le sentinelle. Subito dopo procedettero alla distruzione della stazione e a trasportare il materiale che erano riusciti a requisire.  
Il 26 novembre 1944 i tedeschi, risalendo la collina della Verna di Cumiana, iniziarono di nuovo le operazioni di rastrellamento provocando morti tra partigiani e civili e facendo dei prigionieri. Il 27 mattina l'azione di rastrellamento si spostò in Val Sangone, costringendo le formazioni partigiane a spostarsi con grandi difficoltà  verso la pianura; la furia delle operazioni tedesche si abbatteva anche contro la popolazione civile e gli abitati. Tallarico, intuendo il piano tedesco di accerchiare le formazioni nella conca di Giaveno, ordinava di ritirarsi verso la Val Chisola e di disperdersi in pianura. Nonostante fossero divisi in distaccamenti di quindici o venti uomini ognuno, alcuni gruppi vennero intercettati dai nazifascisti e costretti a sparare e combattere. La ritirata della brigata "Frico" durò due giorni, ci furono una decina di morti e dei prigionieri.  
Il 12 gennaio 1945, dopo un vasto rastrellamento in montagna da parte dei tedeschi, Tallarico aveva deciso per sicurezza di mandare a casa gli uomini della brigata. Poi, insieme al fratello si spostarono a Giaveno, dalla sorella Nina. Nella tarda serata si recarono presso l'ospedale di Giaveno per fare un bagno. Quando verso mezzanotte uscirono dall'ospedale, furono arrestati da due tedeschi armati di mitra. Furono portati a Coazze presso il comando tedesco e incarcerati. L'arresto però era dovuto alla violazione del coprifuoco, infatti i tedeschi solo il mattino successivo, grazie ad una soffiata, vennero informati che Tallarico era in realtà  il comandante della brigata "Frico".
La mattina seguente Tallarico venne condotto di fronte a un tenente tedesco per essere sottoposto a interrogatorio. Alle richieste da parte tedesca di rivelare dove si trovavano gli altri partigiani rispondeva negativamente ma a voce alta, per permettere al fratello, fuori dalla stanza, di sentire e confermare dopo di lui la stessa versione. Lo stesso giorno da Coazze furono trasferiti nelle carceri di Bussoleno e processati da un tribunale. Il processo si svolse rapidamente, con verdetto finale la condanna a morte. Dopo la sentenza fu accordato a Tallarico di scrivere una lettera alla famiglia e di essere fucilato al petto e non alle spalle, nonché di avere un prete. Nonostante la condanna a morte la sentenza non venne eseguita. Si trattava infatti di uno dei capi partigiani più importanti in Piemonte, utile quindi in un eventuale scambio di prigionieri; a suo favore per salvargli la vita era intervenuto anche il padre marista di origine tedesca Koop. La sua detenzione in carcere durò tre mesi e mezzo. Dal carcere di Bussoleno venne trasferito a quello di Susa e poi a Torino. Il 25 aprile mentre i tedeschi si ritiravano giunse nel carcere di Torino la sorella Nina con un ordine di scarcerazione ottenuto dal Comitato di liberazione nazionale attraverso la Croce Rossa. Grazie a quest'ordine poté uscire dal carcere nel pomeriggio del 25 aprile. Subito dopo raggiunse la brigata, che era accampata presso la fabbrica Fiat Mirafiori. Il 28 aprile con una ventina di uomini si recò a Trana dove c'era ancora un reparto di tedeschi asserragliato. Giunti sul posto circondarono la villa dove si trovavano i tedeschi e tramite il parroco chiesero la loro resa. I tedeschi però rifiutarono di arrendersi temendo ritorsioni nei loro confronti e sperando nell'arrivo degli angloamericani a cui si sarebbero consegnati. La decisione di Tallarico di attaccare la villa però fece cedere i tedeschi che si consegnarono.  
Nei mesi successivi la liberazione si adoperò per regolarizzare la posizione dei partigiani per quanto riguardava il loro servizio militare. Al suo ritorno in Calabria seguì una certa delusione per la diffidenza con la quale veniva trattato dalle autorità , addirittura venne a sapere di essere sorvegliato perché ritenuto un individuo pericoloso. Nel 1947 si iscrisse al partito socialista e  dopo la guerra svolse la professione di insegnante.
Morì a Catanzaro il 6 luglio 2010.  (Giuseppe Ferraro) © ICSAIC 2019

Bibliografia essenziale di riferimento

  • Isolo Sangineto (a cura di), Intervista a Federico Tallarico comandante della Brigata partigiana autonoma "Frico", in «Bollettino-ICSAIC », f. 9, pp. 39-52.
  • Gianni Oliva, La Resistenza alle porte di Torino, Franco Angeli, Milano 1989.
  • Les partisans de «Frico », Documentaire Ecrit et réalisé par Mikhà¤il Frontère et Loie Joyez.

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