Antonio Armino [Palmi (Reggio Calabria), 5 novembre 1901 - Napoli, 23 ottobre 1956]
È stato un protagonista dell’antifascismo meridionale, direttore del giornale L’Azione, fondatore della Camera Generale del Lavoro di Napoli, collaboratore di Giuseppe Di Vittorio nella Cgil, Consultore di Stato.
Figlio di Lorenzo, un discreto proprietario terriero di Melicuccà , e di Vincenza Maria Soccorsa La Crapia (sic), appartenente a una nota famiglia di armatori palmesi, venne indirizzato agli studi presso il seminario vescovile di Catanzaro.
Concluso il Liceo si trasferì prima a Roma e poi a Napoli dove conseguì la laurea in legge. Nella capitale venne arrestato una prima volta dalla polizia fascista che trovò nella sua abitazione di via dell’Orso documenti compromettenti fra i quali la copia di una lettera di Salvemini inviata da Londra agli antifascisti italiani. Nel capoluogo partenopeo svolse da subito attività clandestina con i movimenti di Libera Italia e di Giustizia e Libertà, che confluiranno nel Centro Meridionale, l’organizzazione del Partito d’Azione (Pd’A) nel Mezzogiorno, guidata da Pasquale Schiano di cui Armino fu tra i più stretti collaboratori.
Pubblicista, aveva iniziato la sua attività come corrispondente dall’Albania de L’Ora di Palermo, non si sposò e non ebbe figli.
Dopo l’8 settembre del 1943, nelle drammatiche giornate che seguirono l’armistizio, Armino rimase a Napoli mantenendo le fila dell’organizzazione azionista in città e partecipando alle Quattro Giornate. A lui, instancabile organizzatore, si deve l’adesione al Pd’A di Francesco De Martino.
La parte più intensa dell’attività di Armino si svolse nel biennio 1943-1945. Proprio ad Armino, in quanto calabrese, Pasquale Schiano delegò l’opera di organizzazione del Pd’A in Calabria. Nel convegno dei comitati provinciali del Pd’A, svoltosi a Napoli dal 18 al 20 dicembre 1944 in vista del primo congresso dei Cln dell’Italia liberata, Armino tenne, insieme a Salvatore de Pascale, una relazione che chiedeva l’abdicazione del re, la partecipazione di tutte le forze italiane alla guerra di liberazione contro i tedeschi e la successiva convocazione di un’assemblea costituente.
Nel 1944 fu nominato direttore del giornale «L’Azione». Il primo numero settimanale uscì il 29 marzo e divenne bisettimanale dal gennaio 1945, arrivando a stampare oltre dodicimila copie. L’intransigenza di Armino si manifestò nell’avversione al governo Badoglio. Dopo la svolta di Salerno, con la quale i comunisti aprirono a un esecutivo di unità nazionale senza pregiudiziali antimonarchiche, Armino si schierò risolutamente contro ogni partecipazione al governo Badoglio. Nell’editoriale de «L’Azione» del 5 aprile 1944, pur polemizzando con Togliatti, Armino si apriva alla collaborazione ma con precise garanzie che dovevano consistere nell’allontanamento del re dall’esercizio del potere e nell’esclusione da ogni incarico governativo degli uomini compromessi con il regime fascista. Insieme ai comunisti Enrico Russo, Vincenzo Iorio e Vincenzo Gallo, ai socialisti Vincenzo Bosso e Nicola Di Bartolomeo e all’altro azionista Dino Gentili, Armino fu protagonista della rinascita del sindacato nel novembre del ‘43, pochi mesi dopo la liberazione di Napoli, divenendo uno dei sei membri del comitato direttivo della nuova Camera Generale del Lavoro (Cgl), la prima esperienza di sindacato in Italia dopo il ventennio fascista.
A fine gennaio 1944 a Bari, dove si trovava per partecipare al congresso dei Cln, si oppose al tentativo di liquidare l’esperienza sindacale napoletana, sostenendo l’accordo raggiunto in precedenza a Napoli per l’unità sindacale nella Cgl in vista del congresso di Salerno. Il congresso sindacale di Salerno del 18-20 febbraio 1944, il primo per l’Italia liberata, fu preceduto da un convegno che si svolse a Torre Annunziata nei giorni 5 e 6 febbraio. Dalla presidenza del convegno Armino espose la situazione che si era venuta a creare con la nuova confederazione sindacale nata a Bari, ottenendo il favore anche dei rappresentanti comunisti che sconfessarono la posizione assunta dal loro partito nel capoluogo pugliese.
A Salerno, dove venne riaffermata la natura del sindacato libero, unitario e ispirato alla lotta di classe, risultò tra i sette membri eletti del consiglio direttivo della Cgl. La sua azione sindacale era improntata, rispetto alle tendenze azioniste presenti nel Nord Italia, a una maggiore intransigenza e radicalità e a una visione classista e socialista che gli consentì di collaborare attivamente con il gruppo di comunisti rivoluzionari che faceva capo a Enrico Russo.
Si oppose al Patto di Roma del 3 giugno 1944 voluto da Togliatti anche per escludere gli azionisti, considerati un pericoloso concorrente a sinistra. Il 9 giugno sottoscrisse l’ordine del giorno del direttivo Cgl che «dichiara[va] di non poter riconoscere alcuna nomina che non sia fatta per espressa volontà delle masse lavoratrici». Nell’assemblea che si tenne a Napoli il 28 giugno 1944, in preparazione del Congresso del Pd’A di Cosenza, Armino difese la posizione della Cgl «giacché - scrisse - l’organizzazione meridionale risponde ai principi democratici mentre quella di Roma riproduce gli schemi fascisti di investitura dall’alto». Ispirandosi alla lotta di classe, principio che «non è stato mai tradito, ma è stato salvaguardato e difeso costantemente», si schierò contro il parere dell’esecutivo nazionale del suo partito e in netta opposizione con Oronzo Reale che riteneva opportuno battersi per il quarto posto nella neonata Cgil dopo comunisti, socialisti e democristiani.
Al congresso del Pd’A, tenutosi a Cosenza dal 4 al 6 agosto 1944, fu tra i primi firmatari, con Emilio Lussu, Guido Dorso, Francesco De Martino, Guido Calogero, Aldo Garosci e altri, del terzo ordine del giorno nel quale il Pd’A è definito «un movimento socialista, antitotalitario, autonomista e liberale, che intende realizzare il socialismo nella libertà e nello Stato in funzione permanente di libertà». Questo ordine del giorno prevalse su quello moderato a firma, tra gli altri, di Ugo La Malfa, Manlio Rossi Doria, Oronzo Reale, Riccardo Bauer, Bruno Visentini e Adolfo Omodeo. Il 6 agosto Armino tenne la relazione sindacale, centrata sull’unità di tutte le sinistre, l’autonomia del movimento sindacale dai partiti politici e la polemica con il patto di Roma: «Noi siamo stati i primi e più tenaci assertori dell’unità sindacale, ma esigiamo, in nome della libertà e della democrazia, che il movimento sindacale prenda le mosse dal basso e non sia imposto per esclusivo gioco politico dall’alto». La relazione, assai appassionata, fu interrotta spesso da applausi e ottenne l’unanime consenso dei delegati. Il comizio della domenica mattina in piazza a Cosenza fu tenuto da Emilio Lussu e da Armino, i veri protagonisti di quell’assise. Quando nell’agosto del ‘44 la Camera del Lavoro di Napoli dovette tuttavia capitolare, Armino costituì, con Pierleoni, Bonelli e Iorio, il Comitato della Sinistra Sindacale con il compito di confluire nella CGIL e lottare dall’interno per la difesa dei principi della lotta di classe, dell’unità sindacale e della democrazia interna. Il comitato, tuttavia, non poté però operare e da lì a poco si sciolse.
Nel settembre del 1945 fu chiamato dal Pd’A a rappresentare la Calabria alla Consulta, primo libero Parlamento post-fascista, istituita dal governo di Ferruccio Parri con lo scopo di svolgere le funzioni di Camera dei deputati in attesa di indire regolari elezioni politiche. Assegnato alla Commissione del Lavoro e della Previdenza sociale dal primo ottobre 1945, sono sue le interrogazioni volte a sollecitare provvedimenti a favore delle industrie meridionali. Dopo la scissione dell’ala destra del Pd’A al Congresso Nazionale del 1946, che indebolì gravemente anche l’organizzazione napoletana, Armino affrontò, con Alberto Cianca, Pasquale Schiano e Francesco De Martino, la battaglia del referendum istituzionale e per l’elezione dei rappresentanti alla Costituente che segnò la fine del partito con la netta vittoria, a Napoli, della monarchia e l’assai deludente risultato elettorale, appena l’1,2% dei voti.
Nella Cgil di Di Vittorio fu segretario nazionale della federazione dei minatori sino al 1956 quando abbandonò quel sindacato per assumere l’incarico di commissario straordinario a Napoli per la Uil. Il 2 giugno 1956 il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi gli conferì l’onorificenza di Cavaliere. Da lì a poco, di ritorno da un viaggio in Danimarca, morì in seguito a collasso cardiaco segnando un grave lutto per l’antifascismo e il sindacalismo italiano.
Le sue spoglie sono custodite nella cappella di famiglia nel cimitero di Melicuccà (Pino Ippolito Armino) © ICSAIC 2020
Nota bibliografica
- «L'Azione», Napoli, 1944-1945;
- Pasquale Schiano, La Resistenza nel Napoletano, CESP, Napoli 1965;
- Emilio Lussu, Sul Partito d'Azione e gli altri, Mursia, Milano 1968;
- Antonio Alosco, Il partito d'Azione a Napoli, Guida, Napoli 1975;
- Gloria Chianese, Sindacato e Mezzogiorno: la Camera del Lavoro di Napoli nel dopoguerra, Guida, Napoli 1987;
- Arturo Peregalli, L'altra Resistenza, Graphos, Genova 1991;
- Fulvio Mazza, Il partito d'Azione nel Mezzogiorno, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992;
- Antonio Ghirelli, Napoli operaia, Franco Di Mauro, Sorrento 1994;
- Antonio Alosco et al., Cinquant'anni. La UIL della Campania dal 1950 al 2000, Dany, Napoli 2001;
- Antonio Alosco, Il partito d'Azione nel Regno del Sud, Guida, Napoli 2002;
- Giovanni Di Capua, Il biennio cruciale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005;
- Giovanni De Luna, Storia del Partito d'Azione, Utet, Torino 2006;
- Antonio Alosco, Il sindacato eretico, Spartaco, S. Maria Capua Vetere 2006;
- Pino Ippolito, Azionismo e sindacato. Vita di Antonio Armino, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012.