Adolfo Berardelli (Cosenza, 8 dicembre 1879 - Roma, 13 agosto 1938)
Nato a Cosenza da una famiglia della borghesia liberale (il padre Pietro è uno stimatissimo avvocato e funzionario dello Stato), ha un'infanzia difficile. Ancora infante, perde un occhio e a sette anni muore anche uno dei genitori, il che lo costringe a sostentarsi da solo, alternando lo studio al lavoro come scrivano al Comune e presso lo studio del famoso penalista cosentino Francesco Alimena o, semplicemente, dando lezioni private a scolari e studenti poco inclini allo studio delle famiglie più in vista della città .
Conseguita con ottima votazione la licenza liceale nel famoso «Telesio » di Cosenza, grazie a una borsa di studio del «legato Pezzullo » può iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Roma, dove per le sue doti di intelligenza e bontà si conquista l'apprezzamento dei professori e dei colleghi studenti. Nel 1901, conseguita la laurea con una tesi sul suffragio universale, fa ritorno a Cosenza, affermandosi come insigne giurista e magnifico oratore. Accanto ad un'intensa attività forense, si impegna in molteplici altre attività : da Presidente dell'Unione Magistrale Italiana - sezione di Cosenza - denuncia le difficili condizioni della scuola in Calabria e nel Mezzogiorno, diffondendo lo spirito associativo e prospettando soluzioni possibili ai problemi sollevati. E da Presidente della Camera di Commercio di Cosenza e del Consorzio Agrario dà un impulso decisivo all'asfittica economia calabrese.
Giornalista tra i più acuti, fonda nel 1906 «L'Avvenire », un giornale di lotta a difesa degli interessi della povera gente, e collabora attivamente a varie testate, fra cui «Cronaca di Calabria », il suo giornale preferito.
Negli anni della grande Guerra, alla quale da volontario non partecipa per il suo problema all'occhio, conduce un'intensa campagna interventista con comizi in tutta la provincia che gli causano anche l'arresto. Validamente aiutato dalla moglie Ida Caruso, appartenente a una nota famiglia cittadina e infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana, che con lui condivide le privazioni dei primi anni e le iniziative umanitarie e le lotte politiche degli anni successivi, si prodiga con tutte le sue forze nel dare assistenza alle famiglie dei soldati impegnati al fronte e ai reduci della guerra, dispensando, in qualità di rappresentante della Croce Rossa americana, viveri, vestiari e medicinali in diversi paesi della Calabria.
Nel 1919, desideroso di respirare aria nuova, torna a Roma, dove esercita con grande successo la professione forense, conquistandosi credibilità e apprezzamenti negli ambienti che contano e per questo è chiamato ad occupare posti di alta responsabilità .
Sensibile alle idee socialiste maturate al seguito del medico cosentino Pasquale Rossi, ma con qualche simpatia anarchica (negli anni universitari a Roma è sorpreso assieme a giovani anarchici ad affiggere manifesti contro il Re, con reato amnistiato), si iscrive al neonato Partito socialista, dal quale prende le distanze alla vigilia della grande Guerra divenendo un fervente interventista a fianco del socialista riformista Leonida Bissolati. Nelle liste liberali e radical-riformiste è eletto alla Camera dei deputati nella XXV (1919) e XXVI (1921) legislatura, occupando posti di responsabilità e uffici tra i più contesi e difendendo sempre gli interessi della Calabria con appassionati interventi in Commissione e in Aula. Dimentico del suo socialriformismo, nel 1922 aderisce al fascismo e due anni dopo, alla vigilia delle elezioni, annuncia l'intenzione di non ricandidarsi con una dichiarazione in Parlamento che gli vale il plauso e l'onore di una lettera autografa di Mussolini. Fuori dal Parlamento continua la sua opera al servizio del Regime e della Calabria.
Muore nel 1938, alla vigilia di ferragosto, in una Roma desolatamente deserta, a soli 59 anni, nel pieno di una vita interamente dedita al bene comune e alla gente povera della sua Regione.
Uomo di eccezionale produttività , è valente avvocato e abile oratore. Nel volume Arringhe penali del 1931 sono pubblicati alcuni degli interventi che lo hanno reso famoso per cultura giuridica e capacità oratoria, e per questo molto apprezzati dal pubblico, al punto che alcune volte i presidenti dei processi hanno dovuto minacciare lo sgombero dell'aula per i troppi consensi che essi suscitavano.
Analogo successo arride al volume Vita e arte del 1929, nel quale sono raccolte le commemorazioni di alcuni personaggi famosi della politica (Nazario Sauro, Cesare Battisti, l'on. Francesco Arcà ), delle professioni (l'avv. Francesco Alimena, la maestra Carolina Arnone) e delle arti (Giuseppe Verdi, Pietro Mascagni, Alfonso Rendano, Claudia Muzio, Leonardo Bistolfi), che si fanno apprezzare per la versatilità dei suoi interessi, la vastità delle sue conoscenze e la sensibilità del suo animo.
Michele Bianchi nella vita e nelle opere del 1930 è il testo della commemorazione dell'illustre calabrese, pronunciata dinanzi ad uno stuolo di gerarchi e rappresentanti del fascio in occasione del trigesimo della sua scomparsa. In esso il Berardelli ricostruisce con accenti molto partecipati il profilo umano, intellettuale e politico dell'amico, a partire dagli esordi socialisti in terra calabrese e fino all'approdo al fascismo, passando per il sindacalismo rivoluzionario. Profondo conoscitore dei bisogni del Mezzogiorno Michele Bianchi ha legato il suo nome ai successi del fascismo e ad una politica di lavori pubblici in Calabria destinata a mutarne il volto.
Nel 1932 pubblica La Sila, il gran bosco d'Italia, con una nobile dedica al padre «che con la sua opera infaticabile seppe assicurare allo Stato il patrimonio demaniale silano e per premio ebbe soltanto una povertà onorata e la soddisfazione del dovere compiuto ».
Dopo alcuni richiami alla storia della Sila l'Autore presenta un piano organico di interventi nei settori dell'agricoltura, dell'industria, del turismo e della viabilità , strettamente legato alle particolarità e alle risorse naturali, ambientali e paesaggistiche di cui il Gran bosco d'Italia è ricco. Il saggio si conclude con l'auspicio che dal Duce, il quale ha dato più volte prova tangibile del suo grande amore per la Calabria, «arrivino le nuove provvidenze che condurranno alla sicura valorizzazione della nostra terra ».
Convinto meridionalista, le sue proposte, corroborate da una fine analisi della situazione del Mezzogiorno e da una frenetica attività politica e organizzativa, puntano decisamente all'intervento dello Stato nei settori dei lavori pubblici, delle infrastrutture viarie, dell'agricoltura e della scuola. Nel biennio della sua presidenza alla Camera di Commercio di Cosenza (1912-13), oltre che all'organizzazione dei servizi dell'ente camerale e all'ampliamento della rete associativa, dà un forte impulso al miglioramento della vita economica della provincia reclamando con forza il potenziamento dei servizi di comunicazione ferroviari, marittimi, postali e telegrafici, dando concreto sostegno all'industria, soprattutto serica, all'agricoltura e al commercio, mediante accordi con gli istituti di credito per agevolazioni al prestito, e finanziando con risorse camerali le scuole pratiche di agricoltura, quelle industriali e di arti e mestieri. Come deputato, difende con interrogazioni e proposte di legge la linea meridionalistica nei settori agricolo e industriale e in quelli della scuola, della sanità e delle comunicazioni.
Generoso e altruista per temperamento, si è sempre speso a favore delle fasce più deboli e delle persone in difficoltà . Durante gli anni del conflitto mondiale organizza in diversi comuni della provincia comitati civici a favore delle famiglie dei soldati in guerra; durante l'epidemia della Spagnola previene disordini tra le popolazioni colpite dal morbo e distribuisce materiali di cura acquistati col denaro ricavato dalle sottoscrizioni da lui stesso promosse. In occasione del terremoto del Vulture (1930) corre in soccorso delle popolazioni lucane colpite, assieme ai figli (ne ebbe cinque: Pietro, Letizia, Paolo, Mario e Guido) e da una squadra di calabresi dell'Associazione «Michele Bianchi ». Al ritorno a Roma porta con sé 10 bimbi orfani dei genitori che tiene per qualche tempo nella sua abitazione prima di smistarli in istituti di accoglienza della Capitale, di Anzio e di Mantova.
Profondamente convinto dell'importanza dell'istruzione nel processo di sviluppo della società , Berardelli si batte per il superamento dei mali storici della scuola, soprattutto al Sud e in Calabria. Come rappresentante dell'Unione Magistrale Italiana fa un'opera instancabile di proselitismo associativo tra i maestri della provincia, che considera il modo più efficace per ottenere il riconoscimento dei diritti di una categoria socialmente poco considerata. Attraverso scritti, convegni e manifestazioni di piazza, sono continue le sue denunce sugli alti tassi di analfabetismo che si registrano nelle scuole della Calabria, incompatibili per una società civile, sull'inesistenza di un'edilizia scolastica decente, nonostante le diverse leggi che ne favoriscano la realizzazione, e sull'indifferenza delle amministrazioni comunali nei riguardi della scuola, che lo convince a sostenere l'avocazione allo Stato dell'istruzione elementare prima della legge Daneo-Credaro del 1911. (Giovanbattista Trebisacce) © ICSAIC 2022 - 4
Opere
- La Camera di Commercio di Cosenza negli anni 1912 e 1913, Tipografia di Raffaele Riccio, Cosenza 1914;
- Arringhe penali, Fratelli Bocca, Torino 1928;
- Vita e arte: discorsi e conferenze, Sape, Roma 1929;
- Contro la mafia e per la giustizia. Arringa pronunciata nell'assise di Termini Imerese nel marzo 1929, Sape, Roma 1929;
- Pro veritate et jure. Arringa in difesa di Gabriele Cimino, Sape, Roma 1930;
- La Sila, il gran bosco d'Italia, Sape, Roma 1932;
- Michele Bianchi nella vita e nelle opere, Sape, Roma 1932;
- Manlio A. D'ambrosio, Edit. Clet, Napoli 1932;
- Leonardo Bistolfi, La Garangola, Padova 1935.
Nota bibliografica
- Gennaro Cassiani, La Sila nel pensiero di Adolfo Berardelli, «Cronaca di Calabria » 3 settembre 1933;
- Luigi Lenzi-Aliquò, Adolfo Berardelli, «Cronaca di Calabria », 13 ottobre 1938;
- Riccardo Giraldi, Il popolo cosentino e il suo territorio, Pellegrini Editore, Cosenza 2003.
- Ferdinando Cordova, Il fascismo nel Mezzogiorno: le Calabrie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, ad indicem;
- Giovanbattista Trebisacce, Adolfo Berardelli e la scuola in Calabria, «Scuola e Vita », 1, 2021, pp. 57-63.