Francesco Cacozza [Fiumefreddo Bruzio (Cosenza), 11 maggio 1851 – Napoli, 24 dicembre 1931]
Nasce da Nicola e Rosa Iorio, il padre era ferroviere. Non si conosce molto della sua infanzia e del corso di studi seguito. Probabilmente frequentò le scuole elementari nel suo paese natale e successivamente proseguì a Catanzaro gli studi ginnasiali. Aderisce all’Internazionale e intorno al 1878 entra nelle Ferrovie come impiegato e due anni dopo, giunto a Napoli con l’incarico di capostazione, fonda con Felicò e Merlino Il Grido del popolo. Il 3 gennaio 1881 è arrestato con alcuni compagni per cospirazione e attentato contro la sicurezza dello Stato; scarcerato il 25 febbraio 1882 viene licenziato per motivi politici dalle ferrovie. Dopo la svolta “legalitaria” di Costa, rompe con Merlino e invita Cafiero a prendere la guida del movimento a Napoli.
Nell’anno del colera, 1884, si prodigò per portare aiuto alle persone più povere che vivevano nei quartieri più degradati e fatiscenti e dopo l’approvazione della legge sul Risanamento di Napoli, difese quelle famiglie sfrattate, manu militari, dalle case che dovevano essere abbattute.
In quel convulso periodo divenne popolarissimo, e la sua popolarità crebbe quando le case promesse agli sfrattati costruite al Vasto, furono abitate solo da chi poteva pagare, giacché le pigioni erano alte. Lo stesso capitò a Santa Lucia. Il Borgo Marinai, costruito per accogliere i pescatori del posto, per la stessa ragione – affitti elevati – di pescatori non ne accolse neppure uno.
Popolare e per niente turbato dalle continue carcerazioni, don Ciccio saliva su una sedia e teneva comizio; spiegava ai popolani che era un loro diritto avere una casa e consigliava di occupare le case al Vasto e di non pagare l’affitto. Non riusciva quasi mai a concludere i suoi comizi: l’arrivo delle guardie era immancabile al pari dei mesi di carcere. Uomo non violento, l’anarchico non opponeva resistenza all’arresto, scontava la detenzione e poi tornava più convinto di prima alla sua battaglia politica, combattuta in solitudine da buon anarchico individualista.
Riammesso nelle ferrovie, ai primi del 1887 è tra i promotori del gruppo Humanitas e responsabile del foglio omonimo, che per l’ampiezza dei temi trattati fa da riferimento per tutti gli anarchici. In agosto lascia la redazione di Humanitas ritenuta ormai su posizioni moderate, e fonda con Bergamasco e Felicò il circolo comunista-anarchico “Il Lavoratore”, che pubblica Il Demolitore. Organo comunista-anarchico, il cui primo numero, uscito il 17 settembre 1887, porta in epigrafe la frase: «Il lampo della baionetta di Agesilao Milano fu una propaganda più efficace di mille volumi scritti dai dottrinarii, che sono la vera peste del nostro, come di ogni paese», tratta dal Testamento politico di Carlo Pisacane. Il giornale viene subito sequestrato mentre un secondo numero, uscito il 1° ottobre, preannuncia una periodicità mensile, poi non mantenuta. Il gruppo di cui scrive il programma si ispira a un individualismo estremo che rifiuta «dogmi, principi stabili che in ogni luogo e ogni tempo non sono serviti che d’inciampo al progresso».
Il 12 febbraio 1889 sposa un’ereditiera, si licenzia e va a vivere a Vietri di Potenza, da dove torna spesso a Napoli a continuare le sue battaglie. Arrestato il 1° maggio 1891, appena scarcerato intensifica l’attività di propaganda, collabora con La Croce, che esce a Napoli nel 1892 e a fine aprile, in vista del 1° maggio, viene nuovamente fermato per misure di Pubblica sicurezza.
Nel maggio 1896 si stabilisce di nuovo a Napoli e nel 1897 entra nel gruppo “Carlo Cafiero”, guidato da Michele Acanfora. Di lì a poco, il 5 e 14 settembre, pubblica due numeri unici intitolati Il Turbine, incappa in una denuncia per violazione della legge sulla stampa, poi si adopera con Francesco Del Giudice per riunire i compagni divisi dalla collaborazione con i socialisti nella campagna contro il domicilio coatto e ottiene la fusione dei due fogli anarchici che escono a Napoli, Il Turbine e L’Affamato.
Nel marzo 1898 sottoscrive il manifesto di solidarietà con Malatesta e i redattori de L’Agitazione ed è poi, arrestato per i moti di maggio. Al processo, che si tiene a giugno, contesta la legittimità della corte marziale, rifiuta di difendersi ed è condannato a due anni di carcere per istigazione a delinquere. Esce per amnistia il 4 gennaio 1899 ed è subito diffidato.
A novembre del 1902 si imbarca come infermiere su un piroscafo diretto a New York e ricompare il 18 febbraio 1904, con un articolo che esce su Il Grido della folla di Milano e gli costa quattro mesi e mezzo di carcere. Quanto basta per tenerlo in prigione buona parte dell’anno. Tornato libero, nel luglio 1905 dirige L’Iconoclasta, che ha vita brevissima; il 12 giugno 1906, si introduce nella Camera del Deputati, apostrofa Giolitti con un «Voi mentite! Siete un bugiardo! Voi state ingannando il popolo», e, prima di essere identificato, arrestato e condannato a due mesi di carcere, fa in tempo a partecipare al Congresso nazionale anarchico, che si apre il giorno 16 a Roma. Nel 1908, con Melchionna e Petrucci, svolge un’attiva propaganda tra gli inquilini dei rioni popolari, riuniti in leghe di resistenza, creando problemi alla Società del Risanamento, che non riesce a eseguire gli sfratti. Pesante la risposta repressiva, fatta di fermi improvvisi e carcerazioni brevi e ripetute, che però non lo scoraggiano.
In prima fila nelle agitazioni contro il carovita, non perde occasione per diffondere volantini che portano la sua firma e il 5 giugno 1909 assume la direzione del giornale La Plebe, che si stampa fino al 30 marzo 1910. Sono per lui anni di militanza a tempo pieno: parte a piedi, all’alba, dalle falde del Vesuvio, dove vive in una baracca che si è costruito con le sue mani – il “Nido Libero”, dalla quale viene continuamente sfrattato – e in città arringa i lavoratori in lotta contro il rincaro delle pigioni, l’ampliamento della cinta daziaria e il caroviveri.
Benché vigilato, il 14 giugno 1913 riesce a entrare di nuovo in Parlamento, stavolta vestito da prete, ma è fermato prima che inizi il dibattito. Il suo è un gesto dimostrativo di protesta contro la Camera che si appresta a votare il decreto di approvazione delle spese militari per la guerra di Libia. La notizia, ripresa dalla stampa francese, spagnola e inglese, fa il giro del mondo per la singolarità della protesta.
Popolarissimo tra gli operai per la generosità e la coerenza delle scelte, il 9 giugno 1914, quando in città scoppiano i moti della Settimana rossa, guida i manifestanti nei sanguinosi assalti alla stazione ferroviaria e nei duri scontri nelle vie del centro fino al 10 giugno, quando viene arrestato. Esce per amnistia il 3 gennaio 1915 e il 1° maggio, parlando ai lavoratori, si schiera per la neutralità a oltranza ed è segnalato tra i sovversivi disfattisti. Il 24 maggio 1916, anniversario dell’intervento, è fermato mentre incita gli operai a lottare per la pace. Torna in carcere il 24 febbraio 1917, dopo le manifestazioni per il caroviveri, e il 18 luglio, durante lo sciopero generale dei metalmeccanici, viene di nuovo arrestato per un manifesto che incita alla disobbedienza e alla guerra civile ed è condannato a otto mesi di carcere. Scarcerato il 25 marzo 1918 riprende la sua attività organizzando una lega di resistenza tra gli inquilini ed il 4 maggio 1919 riesce a portare in piazza numerosi dimostranti. Il 28 dicembre poi finisce in carcere per violazione della legge sulla stampa e «istigazione all’odio tra le classi sociali». Tornato libero per amnistia, il 29 aprile 1920 parla ai metallurgici in sciopero.
Il fascismo non lo intimidisce e sfida più volte la violenza squadrista: il 16 febbraio 1922, quando distribuisce volantini davanti a Montecitorio, il 30 maggio 1923, quando, sempre vestito da prete, viene fermato mentre dalle tribune lancia manifestini anarchici nell’aula del Parlamento, e il 22 dicembre 1924, allorché denuncia nel regime trionfante dopo la crisi Matteotti «una fucina di delitti» animata da «uomini politici e direttori di giornali arricchiti dalla teppa». Tornato a Napoli, vecchio e isolato, apre un’edicola, attività che gli consente di proseguire la sua azione di propaganda e di lotta pacifica e non violenta contro un regime ottuso che lo sottopone, alla soglia degli ottant’anni, al provvedimento dell’ammonizione, preludio del confino di polizia.
Muore a Napoli in un ospizio per i poveri nella notte di natale del 1931. (Antonio Orlando) © ICSAIC 2023 – 03
Nota bibliografica
- Walter Mocchi, I moti italiani del 1898. Lo stato d’assedio a Napoli e le sue conseguenze, Tipografia Muca, Napoli 1901;
- Ferdinando Cordova, Storia minore: Ciccio Cacozza, in «Historia», V, 46, 1961;
- PierCarlo Masini, Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Rizzoli, Milano 1969;
- Michele Fatica, Origini del fascismo e del comunismo a Napoli (1911-1915), La Nuova Italia, Firenze 1971;
- Leonardo Bettini, Bibliografia dell’anarchismo, vol. 1. t. 1. Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati in Italia (1872-1971), Firenze 1972;
- Marcella Marmo, Il proletariato industriale a Napoli in età liberale, Guida Editore, Napoli 1978;
- Nunzio Dell’Erba, Le origini del socialismo a Napoli. 1870-1892, Franco Angeli Editore, Milano 1979;
- Pier Fausto Buccellato, Marina Iaccio, Gli anarchici nell’Italia Meridionale. La stampa (1869-1893), Bulzoni, Roma 1982;
- Silvano Fasulo, Storia vissuta del socialismo napoletano 1896-1951, Bulzoni, Roma 1991;
- Giuseppe Aragno (a cura di), La Settimana Rossa a Napoli. Giugno 1914: due ragazzi caduti per noi, La città del sole, Napoli 2000;
- Giuseppe Aragno, Dizionario Biografico degli anarchici italiani, (a cura di Maurizio Antonioli, Nico Berti, Pasquale Iuso e Santi Fedele) vol. I., BFS edizioni, Pisa 2003, ad nomen;
- Fabrizio Giulietti, L’anarchismo napoletano agli inizi del Novecento. Dalla svolta liberale alla Settimana rossa,Franco Angeli, Milano 2008;
- Katia Massara e Oscar Greco, Rivoluzionari e migranti. Dizionario biografico degli anarchici calabresi, BFS edizioni, Pisa 2010, pp. 69-71.
Nota archivistica
- Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen;
- Archivio di Stato, Napoli, Giustizia, Processi, Corte d’Assise, sentenza 864/914 del 12/2/1915;
- Archivio di Stato, Napoli, Gabinetto di Questura, 2a serie, b. 90, 172, 195, 199; 3a serie (1919-1932), b. 674 e Polizia amministrativa e giudiziaria, b. 390 e 396.