Antonio Le Pera (Catanzaro, 27 aprile 1890 - Roma, 23 gennaio 1970)
Prefetto quanto mai "politico". Nato in una famiglia a cui appartennero giureconsulti e amministratori, laureatosi in medicina a Roma, militò nel movimento nazionalista. Fu decorato per l'opera svolta in occasione del terremoto della Marsica del 1915. Durante la prima guerra mondiale fu ufficiale medico, congedandosi da capitano e meritando medaglia di bronzo al valor militare e croce di guerra.
Nel dopoguerra organizzò a Catanzaro gli ex-combattenti, in lotta contro i socialisti. Fu consigliere comunale e provinciale, assessore comunale, presidente della Deputazione provinciale. S'iscrisse ai fasci nell'agosto 1922. «Gli elementi dell'ordine, riuniti in piccoli nuclei devono sostenere molte difficoltà prima che il fascismo possa affermarsi nella Provincia » e il fascio catanzarese «dové lottare accanitamente nel circondario di Crotone ove il potere comunale era tenuto dai socialisti massimalisti » (Chiurco).
Fu squadrista, ottenne il brevetto della marcia su Roma e la Sciarpa littorio, raggiunse il grado di luogotenente generale della Milizia.
A soli 38 anni - nell'aprile 1928 - fu nominato prefetto di Rieti. Appartenne al gruppo dei prefetti provenienti dal partito, i cosiddetti "ventottisti", ai quali Mussolini chiedeva fedeltà più che competenze specifiche.
Rimase a Rieti pochi mesi, per passare poi a Lucca (novembre 1928 - agosto 1930). Informatori scrissero che era uomo «avido di denaro e facilmente corruttibile » (Canali-Volpini). Anche nella successiva sede di Terni (agosto 1930 - giugno 1933) corsero voci di tangenti per la costruzione del Palazzo del governo. Successivamente, in qualità di Commissario speciale per l'Agro pontino, preparò la nascita della provincia di Littoria (oggi Latina) e «venne ricevuto dal Duce che ebbe a rivolgergli un vivo elogio per l'opera svolta in sedici mesi » (Savino). Dopo un periodo trascorso con incarichi ispettivi, fu mandato come prefetto a Pistoia, dove rimase dall'ottobre 1935 al marzo 1937. In occasione della «Giornata della fede » (18 dicembre 1935), con soddisfazione poté comunicare a Roma il fermo del lavoro in un'azienda metallurgica, affinché i lavoratori potessero recarsi in massa a donare la fede nuziale presso il monumento ai caduti.
Chiamato a dirigere l'ufficio centrale demografico presso il ministero dell'Interno, dal settembre 1938 si trovò a capo della famigerata Direzione generale per la demografia e la razza, a cui competevano studio e attuazione dei provvedimenti in materia demografica e razziale. Si trovò, di fatto, a dirigere il centro burocratico della politica antiebraica del regime, gestendo quindi l'organizzazione politica e legislativa della persecuzione.
Tra le prime iniziative della famosa «Demorazza » ci fu il censimento degli ebrei, portato a termine in poche settimane grazie alle prefetture e agli uffici comunali di tutt'Italia. Venne compiuta anche la specifica rilevazione degli impiegati israeliti all'interno dei ministeri e degli enti pubblici.
Era componente di diritto del Consiglio superiore della demografia e razza nonché del Tribunale della razza. Tale ultimo organismo, presieduto dal magistrato Gaetano Azzariti (poi ministro nel governo Badoglio e nel secondo dopoguerra presidente della Corte costituzionale), aveva il compito di deliberare sulle domande di non appartenenza alla razza ebraica, «anche in difformità delle risultanze degli atti dello stato civile ».
In sostanza, per evitare la persecuzione razziale l'espediente era dimostrare, in qualsiasi modo, di non essere stati generati da ebrei.
Fu anche membro della commissione per le discriminazioni, presieduta dal senatore Stefano De Ruggiero.
Dal 23 ottobre 1940 diresse la neonata rivista «Razza e civiltà », organo ufficiale del Consiglio superiore e della direzione generale per la demografia e la razza (redattore-capo Luigi Cesari,redattore responsabile Renato Pacileo). Il periodico registrava le novità nel campo della legislazione, dando conto degli orientamenti della giurisprudenza che s'andava formando. Nella presentazione della rivista, sottolineò in particolar modo la continuità in Italia della «coscienza esentimento di razza », dall'antica Roma alla proclamazione dell'Impero fascista, continuum di tradizione di valori biologici espirituali.
Per completare il quadro degli incarichi, fece parte pure della società di antropologia e fu vice-presidente nell'Opera nazionale maternità e infanzia. Cavaliere di gran croce dell'ordine della corona d'Italia, grand'ufficiale dell'ordine mauriziano, grand'ufficiale dell'ordine coloniale della stella d'Italia, cavaliere magistrale del sovrano militare ordine di Malta.
Il giudizio su come esercitò in quegli anni le sue funzioni è assai negativo. Il complicato sistema burocratico che decideva vita e averi degli ebrei alimentò una diffusa corruzione. Per ottenere l'esito favorevole delle istanze di arianizzazione e discriminazione, gli ebrei più ricchi arrivarono a pagare somme enormi, nell'ordine di milioni di lire. Faccendieri e intermediari di ogni genere si misero all'opera per lucrare sulle disgrazie altrui. Secondo il capo della polizia Senise, sull'ufficio correvano voci «non liete ». Col tempo crebbero mormorazioni, accuse, veline accusatrici e infine, nel settembre 1942, arrivò la sua rimozione (fu sostituito dal prefetto Lorenzo La Via). Avrebbe, insomma, lucrato sulle politiche razziali del regime, con un traffico delle discriminazioni e delle arianizzazioni.
Si legge nel diario di Galeazzo Ciano: «La banda, che era mossa dal prefetto Le Pera, in realtà faceva capo a Buffarini, che mangiava a quattro ganasce ». Guido Buffarini Guidi era da molti anni sottosegretario al ministero dell'Interno, con Mussolini ministro.
L'opinione pubblica, come sempre avveniva durante il ventennio fascista, non seppe nulla di quella gestione poco commendevole. Fu parcheggiato alla presidenza degli ospedali riuniti di Roma, incarico defilato ma ben remunerato. Buffarini Guidi voleva addirittura nominarlo capo del personale al ministero dell'Interno, ma la manovra fu sventata. Dopo il 25 luglio 1943 e la caduta di Mussolini, il governo Badoglio lo collocò a riposo. Il 27 luglio 1943 fu arrestato e tenuto in custodia sino al 13 settembre, quando i tedeschi lo liberarono.
Costituitasi la Repubblica sociale italiana vi aderì e s'interessò affinché molti incartamenti riservati, riguardanti non solo la politica razziale, fossero trasferiti nel nord Italia. Si mise a disposizione di Buffarini Guidi, divenuto ministro dell'Interno, ma non ricoprì incarichi ufficiali, se non quello di Consigliere della corte dei conti dal 1 ° ottobre 1944. Intanto, però, sulla base del preciso censimento del 1938 molti ebrei furono ricercati e deportati in Germania nei campi di sterminio.
Nel giugno 1945 fu nuovamente arrestato (lo si trova detenuto nelle carceri di Como) ma il giudizio penale si concluse nell'ottobre 1946 con l'applicazione dell'amnistia Togliatti. Erano ostativi all'applicazione dell'amnistia i crimini di strage, sevizie particolarmente efferate, omicidio, saccheggio o commessi a scopo di lucro. I giudici penali ritennero che niente di tutto ciò fosse addebitabile all'ex-prefetto. Invece, nel procedimento amministrativo di epurazione, con decreto del presidente del Tribunale di Roma del 22 settembre 1944, furono disposti la perdita del diritto alla pensione e il sequestro conservativo dei suoi beni e di quelli dei familiari, ma dalle indagini non fu possibile accertare che avesse fatto profitti dalle cariche ricoperte.
Non si hanno notizie sulla sua vita privata. Morì a Roma dimenticato all'età di 80 anni. 5 © ICSAIC 2022 - 3
Nota bibliografica
- Giorgio Alberto Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, Edizione del Borghese, Milano 1972 [ed. orig. 1929], p. 155;
- Edoardo Savino, La nazione operante, De Agostini, Novara 1937, p. 200;
- Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, Rizzoli, Milano 1980, p. 618;
- L'amministrazione centrale dall'Unità alla Repubblica: le strutture e i dirigenti. Il ministero dell'Interno, a cura di Giovanna Tosatti, il Mulino, Bologna 1992, pp. 190-191;
- Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino 1997;
- Alberto Cifelli, I prefetti del Regno nel ventennio fascista, Ssai, Roma 1999, pp. 151-152;
- Mauro Stampacchia, Ruralizzare l'Italia! Agricoltura e bonifiche tra Mussolini e Serpieri 1928-1943, FrancoAngeli, Milano 2000;
- Annibale Folchi, I contadini del duce: Agro Pontino 1932-1941, Pieraldo, Roma 2000;
- Mimmo Franzinelli, L'amnistia Togliatti, Mondadori, Milano 2006, pp. 212-213.
- Petra Terhoeven, Oro alla patria: donne, guerra e propaganda nella giornata della fede fascista, Il Giornale, Milano 2006, p. 166;
- Michele Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista: vicende, identità , persecuzione, Einaudi, Torino 2007;
- Marie-Anne Matard-Bonucci, L'Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, il Mulino, Bologna 2008;
- Carlo Monaco, Note d'archivio sui prefetti collaborazionisti in area veneta (1943-1945), in «Annali della Fondazione Mariano Rumor », III, MR stampa, Vicenza 2009, p. 42;
- Carmine Senise, Quando ero Capo della Polizia, Mursia, Milano 2012 [ed. orig. 1946], pp. 158-162;
- Saverio Gentile, La legalità del male: l'offensiva mussoliniana contro gli ebrei nella prospettiva storico giuridica 1938-1945, Giappichelli, Torino 2013;
- Mauro Canali-Clemente Volpini, Mussolini e i ladri di regime: gli arricchimenti illeciti del fascismo, Mondadori, Milano 2019.
Nota archivistica
- Archivio Centrale dello Stato (ACS), Segreteria Particolare del Duce (SPD), Carteggio ordinario (CO), f. 500014/2-2 "Antonio Le Pera";
- Ivi, f. 500100/50 "Antonio Le Pera";
- Ivi, f. 523057 "Antonio Le Pera";
- Ivi, f. 528858 "Antonio Le Pera";
- Ivi, f. 536272 "Antonio Le Pera".
- Ivi, Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCM), Alto Commissariato Sanzioni contro il Fascismo (ACSF), b. 425, XIl, 7, elenco 1944, n. 15;
- Ivi, PCM, ACSF, 1944-47, 1, 50, 588;
- Ivi, 1944-47, 1, 50, 588;
- ACS, Ministero dell'Interno, Pubblica Sicurezza, Ufficio informazioni SIS, sez. II, 1944-1949, b.157, fasc. "Le Pera Antonio".