Paola Caterina Misefari [Palizzi (Reggio Calabria), 9 novembre 1906 – Tropea (Vibo Valenti), 22 settembre 1986]
Nasce da Carmelo e Francesca Autelitano, in una famiglia numerosa, penultima di nove figli, tre femmine e sei maschi. “Rina”, come veniva chiamata in famiglia, trascorre l’infanzia nel suo paese natale all’ombra dei fratelli che, sulla scia di Bruno, intraprendono a Reggio Calabria gli studi superiori.
Nelle intenzioni paterne le donne di casa avrebbero dovuto ricevere, al massimo, una sommaria formazione scolastica poiché destinate a contrarre un buon matrimonio. Infatti le due sorelle maggiori Vincenza Maria Caterina, di undici anni più grande, e Amelia Pasqualina, maggiore di 9 anni, non proseguono gli studi, mentre i promettenti risultati che la bambina ottiene alle elementari, unitamente alle sollecitazioni che arrivano dalle maestre, convincono i genitori, anche per le insistenze dei due fratelli maggiori Bruno ed Enzo, a permetterle di continuare a studiare. Ancora una volta, come era stato nel caso di Bruno e di Enzo, è grazie all’aiuto dello zio materno, Vincenzo Auteliano, facoltoso commerciante, che Rina può trasferirsi a Reggio per iscriversi alle scuole ginnasiali. In famiglia la vorrebbero maestra elementare, un titolo di studio ritenuto più idoneo per una ragazza e che, in ogni caso, le darebbe modo di poter subito lavorare. Invece il Ginnasio le apre la strada verso il Liceo Classico, l’unico corso di studio che consente l’accesso a qualsiasi facoltà universitaria e la giovane “Rina” sta, infatti, maturando un progetto alquanto ambizioso ed audace. Terminato il Liceo decide, tra mille dubbi e dopo non poche discussioni, di iscriversi alla facoltà di Medicina e consegue la laurea all’Università di Messina il 31 ottobre 1933, stupendo un po’ tutti perché era ancora una delle prime e poche donne a laurearsi in medicina, specialmente in Calabria.
Dopo un approfondimento degli studi nell’ambito della dermatologia e della ginecologia sia presso l’Università di Messina, sia all’estero (a Zurigo e a Colonia) sposa il dottor Pasquale Angiò, che si era laureato giovanissimo, all’età di 21 anni, sempre in medicina e chirurgia all’Università di Roma. Il matrimonio e la nascita delle figlie, ma anche una serie di eventi luttuosi, rallentano, il suo ingresso nell’attività professionale. La perdita dolorosissima della prima, bellissima bambina, scomparsa ad appena dieci mesi e quella prematura dell’adorato fratello maggiore, Bruno, morto poco più che quarant’enne, segnano due pagine tristissime della sua vita. A questo si aggiunge la persecuzione da parte del regime fascista nei riguardi degli altri due fratelli Enzo e Florindo, nonché del marito e la lontananza di tutti i suoi congiunti a causa della guerra e le non poche difficoltà nel far crescere le due figlie nel primo dopoguerra.
Subito dopo la fine della guerra comincia a esercitare regolarmente la professione a Reggio.
In una città devastata dai bombardamenti e messa a durissima prova dalla penuria di cibo, con passione e dedizione e, naturalmente dati i tempi, con compensi scarsi se non pressoché inesistenti, avvia la sua opera di assistenza a una popolazione stremata e bisognosa. Si dedica in particolare alla cura delle malattie veneree e all’assistenza alle donne. Viene ricompensata con la gratitudine dei pazienti e soprattutto delle pazienti, ben felici di potersi affidare alle cure di una donna. Tutti i giorni, a piedi, percorre le aree periferiche che circondavano la città e che ancora costituivano aperta campagna, per visitare i malati, portando loro le medicine che poteva avere a disposizione e soprattutto trasmettendo ottimismo, per il suo carattere estremamente aperto e socievole.
La sua naturale tendenza all’allegria e all’ironia, in verità, non erano mai venute meno nonostante le non poche avversità e le tante traversie. La famiglia del marito, sebbene di tendenze politiche diverse, l’aveva in ogni modo accolta con grande affetto nella dimora familiare di Tropea nel periodo degli eventi bellici. Nella piccola città aveva sconvolto tutti non fasciando le figlie neonate, come a quei tempi ancora si usava e come imponevano le regole della puericultura.
Quando la situazione economica dell’Italia cominciò ad assestarsi, il suo lavoro si svolse soprattutto nel laboratorio di analisi aperto con il marito. In tarda età aveva voluto prendere la patente di guida e comprare una macchina, con cui andava trionfalmente in giro con le amiche, anche se, si racconta, guidasse solo “in seconda” e per le manovre di parcheggio preferiva rivolgersi con la massima disinvoltura e con la gentilezza che le era congeniale ai vigili urbani, che non si tiravano mai indietro. La sua vecchiaia è stata rallegrata dalla nascita di quattro nipoti.
Grazie all’intelligenza e alla lungimiranza sua e del marito, le figlie hanno potuto avere, parallelamente agli studi normali, un’educazione allo studio delle lingue straniere, con soggiorni all’estero a partire dall’età adolescenziale in un periodo in cui non erano assolutamente di moda. Analogamente, venne consentito alle due ragazze, le professoresse Anna e Francesca Angiò, l’una docente di Letteratura tedesca e l’altra di Latino e Greco, di frequentare l’università abitando lontano da casa, anche dopo la laurea, per ulteriori periodi di studio e di ricerca.
“La dottoressa Rina” ha lasciato l’esempio della vita di una donna moderna, priva di pregiudizi, che ha saputo anticipare i tempi nella dedizione a un’attività ancora insolita per le donne come il delicato e difficile lavoro del medico e nell’educazione aperta al nuovo delle figlie. Credeva nell’importanza della cultura e della ricerca e per questo cercava di incoraggiare nello studio molte delle persone che incontrava, che avrebbero altrimenti del tutto rinunciato, ritenendo di non averne la possibilità o le capacità.
Sicuramente essere in controtendenza le era connaturato e si alimentava dell’ambiente progressista e rivoluzionario in cui era cresciuta. (Antonio Orlando) © ICSAIC 2022 – 11
Nota bibliografica
- Enzo Misefari, Bruno. Biografia di un fratello, Edizioni Zero in condotta, Milano 1989;
- Associazione Korai, Donne che intrecciano fili, Quaderno n. 3 “Caterina”, Romano Editore, Tropea 2020.