Domenico Girolamo Muratore (Casalnuovo, oggi Cittanova (Reggio Calabria), 27 luglio 1777 – Reggio Calabria, 4 novembre 1850)
Il cognome è spesso indicato con la “i” finale; nacque in una famiglia di agiati proprietari terrieri da Francesco e Girolama D’Agostino. Il giorno di nascita tradizionalmente riportato è, in realtà, quello del battesimo, avvenuto nella Chiesa matrice dedicata a san Girolamo e il nome imposto era Giacomo Domenico, mentre la lapide, posta sulla facciata della sua casa natale, oggi Palazzo Castellano, indica come anno di nascita il 1771. Si racconta, però, che all’età di cinque anni, scampò miracolosamente al crollo della casa paterna durante il terribile terremoto del febbraio 1783 (“il Flagello”) perciò l’anno di nascita non può che essere il 1777.
Compì i primi studi sotto la guida del padre e proseguì poi con l‘aiuto di due religiosi, don Giuseppe Florio e don Domenico Foti, lo studio del latino e del greco e infine completò la sua preparazione in campo scientifico con il medico Giuseppe Grio. Nel 1798 venne mandato a Napoli per studiare Legge in quella Università insieme con i compaesani Domenico Fida e Antonino Raso. Entrò subito a far parte dei circoli massonici e liberali legandosi d’amicizia con Giuseppe Logoteta, Girolamo Arcovito e don Antonio Jerocades.
Alla proclamazione della Repubblica si arruolò nelle milizie combattenti e fu a capo del manipolo di soldati, centocinquanta circa, che presidiarono e difesero valorosamente il Forte di Vigliena. Dopo una disperata resistenza, nel momento in cui le truppe sanfediste, al comando del Ten. Col. Rapini, anche lui originario di Reggio, stavano per penetrare nel fortino, i giovani calabresi decisero di far saltare in aria la polveriera con il preciso intento di perire insieme agli assalitori. Pur riportando vistose ferite, si salvarono solo in tre: il Muratori, l’Arcovito e Nicola Busurgi, che vennero arrestati e incarcerati prima a Pizzofalcone poi a Castelcapuano. Data la giovane età, al Muratori venne comminata la pena dell’esilio sotto condizione di trasformarla in pena capitale nel caso fosse rientrato nel Regno. Trasferitosi a Marsiglia «visse di stenti e di espedienti» per quasi due anni e nel settembre nel 1801 rientrò a Casalnuovo per riabbracciare i familiari.
Conseguita la laurea a Napoli, nel 1806 ritornò nel suo paese natale ma per poter svolgere la pratica legale si stabilì nel capoluogo presso lo studio dell’avvocato Furnari. Riallacciò i rapporti con Arcovito e Busurgi, anch’essi rientrati dall’esilio francese, ed entrò a far parte di una Loggia massonica diretta dal Venerabile Carlo Plutino e della quale facevano parte il canonico Paolo Pellicano, Vincenzo Catalani, Paolo Minardi, i fratelli Plutino e molti altri liberali.
Il governo murattiano lo nominò Controllore delle contribuzioni dirette per la Calabria Ulteriore Prima, un incarico corrispondente a quello di dirigente degli uffici tributari.
Dopo la restaurazione del governo borbonico, ritornò alla professione di avvocato esercitando in tutti i comuni della provincia e specialmente a Palmi dove si fece conoscere e apprezzare per la sua loquela e le sue indiscusse doti di umanità, ragionevolezza ed equilibrio.
Nel 1819 sposò una sua lontana cugina, Maria Concetta Muratore, dalla quelle ebbe due figli Francesco, che sarà eletto deputato nel 1861, dopo l’annullamento delle due elezioni di Diomede Marvasi, e Girolamo, che sarà sindaco di Cittanova, a fasi alterne, dal 1863 al 1866.
Aderì alla Carboneria e partecipò attivamente ai moti insurrezionali del 1820 e una volta che il re, Ferdinando IV, emanò la Costituzione, svolse un’intensa attività di propaganda a favore di Arcovito e Grio, candidati a rappresentare Reggio nel nuovo Parlamento del Regno. La nuova Costituzione affidava al parlamento il compito di eleggere una importante magistratura – il Consiglio di Stato – e quali componenti per la Calabria Ulteriore vennero eletti il gen. Luigi Arcovito, l’Intendente Michele Maria Milano da Polistena, il Muratori e il vescovo mons. Alessandro Tommasini.
A marzo del 1821, a seguito dell’occupazione del Regno da parte delle truppe austriache, la Costituzione venne abrogata e il M. fu costretto a riprendere la sua attività di avvocato, senza cessare la sua propaganda carbonara e antiborbonica. Nel 1847 fece parte della Giunta insurrezionale, presieduta da Casimiro Lieto, e guidò l’assalto al castello che fu conquistato dai rivoltosi. Con l’arrivo di truppe di rinforzo da Napoli, scattò la violenta repressione borbonica e il giudice della Gran Corte Criminale, Francesco Mongelli, investito di poteri straordinari, incriminò i componenti del comitato insurrezionale come rei di Stato e su di essi, dichiarati «banditi dalla legge comune», fu applicata una taglia di mille ducati da pagare a chiunque avesse consegnato vivo uno dei sette componenti e di trecento ducati a favore di chi avesse ucciso uno di loro o avesse consegnato il capo mozzato di uno di essi. Muratori, insieme con i due figli, i fratelli Plutino e Francesco Mezzatesta, si rifugiò prima a Bova e poi a Bovalino con l’intento di imbarcarsi verso Malta.
Vista l’impossibilità della fuga per via di mare, attraverso lo Zomaro raggiunse Casalnuovo e si rifugiò nella casa del medico Giuseppe Raffaele Raso rimanendo nascosto fino al 23 gennaio 1848, data in cui il sovrano proclamò un’amnistia generale. Il 29 gennaio Ferdinando II emanò la nuova Costituzione del Regno che prevedeva, oltre all’elezione del Parlamento, una completa riforma amministrativa. Con decreto del ministro dell’Interno, Francesco Paolo Bozzelli, M. venne nominato Intendente, cioè prefetto, di Calabria Ultra e dopo qualche mese venne designato come candidato per il distretto di Palmi per l’elezione a deputato.
Nella prima elezione, che si tenne in due turni tra il 18 aprile e il 2 maggio 1848, non venne eletto mentre risultarono eletti sia Antonino Plutino sia Giuseppe Raffaele Raso. Questa elezione venne annullata e nella seconda elezione, tenuta il 18 giugno, il M. venne eletto insieme al Raso, confermato a Casalnuovo. Con elezione a deputato, cessò dalla carica di Intendente e al suo posto venne nominato il cav. Giuseppe De Nava, trasferito da Monteleone. Nella seduta inaugurale del Parlamento, 3 luglio 1848, M. presentò subito una petizione e una interpellanza sui poteri che erano stati accordati al gen. Nunziante per le operazioni militari nelle Calabrie e nello specifico, con riferimento ai fatti dell’Angitola, sui quali il deputato pretendeva che il Generale riferisse all’assemblea. Com’è noto, l’ambiguo comportamento di molti deputati e le trame di alcuni lealisti, provocarono frequenti conflitti di competenza tra il Parlamento a la Corte, che portarono allo scioglimento e a successive ricostituzioni, in un clima sempre di forte tensione e di grande incertezza.
Nonostante la sua brevissima durata (furono tenute 47 adunanze) il Parlamento ebbe modo di varare diversi provvedimenti innovativi, rimasti, purtroppo, inattuati, prima di essere definitivamente sciolto il 13 marzo 1849. Rientrato a Reggio, M. venne arrestato e incriminato per i fatti del settembre 1847 che avrebbero dovuto essere coperti dall’indulgenza regia dell’anno prima. Fu costretto di nuovo a scappare, ma gli amici lo convinsero a costituirsi sicuri che al processo sarebbe stato assolto.
Una volta incarcerato gli venne riservato un trattamento durissimo tanto che, dopo neppure un anno di detenzione, il 4 novembre del 1850 morì e corse subito voce che fosse stato avvelenato. Il corpo non fu riconsegnato ai parenti, che pure si adoperarono in tutti i modi per ottenerne la restituzione e tributargli onorata sepoltura. Non fu consentito ai familiari neppur di far eseguire un ritratto del loro congiunto anzi, il De Cristo, racconta che le nuore, che avevano segretamente accompagnato in carcere, un pittore, tale Lipari, scoperti dalle guardie, furono costrette a fuggire mentre il pittore venne arrestato e i bozzetti che aveva appena disegnato venero sequestrati e distrutti.
Lo storico Gaetano Borruto narra che la salma fu portata al cimitero e «qual ultimo miserabile…avanti che sepolto fosse, la rabbia dell’iniquo partito sull’insensibile corpo la sua vendetta sfogar volendo, con vari colpi di martello per ciò fracassarono il cranio dell’onorevole deputato!».
A Cittanova e a Reggio Calabria vi sono due vie a lui dedicate. (Antonio Orlando) © ICSAIC 2023 – 02
Nota bibliografica
- Pietro Colletta, Storia del reame di Napoli dal 1734 al 1825, (a cura di Anna Bravo), Utet, Torino 1975;
- Vincenzo Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, (a cura di Franco Nicolini), Laterza, Bari 1913;
- Ferdinando Serrao De Gregorio, La repubblica partenopea e l’insurrezione calabrese contro i francesi, 2 voll., Novissima Editrice, Firenze 1934;
- Pasquale Turiello, Il fatto di Vigliena, 13 giugno 1799, Lacaita, Manduria (BA) 1999;
- Armando Dito, La Storia della massoneria calabrese: Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria, Brenner, Cosenza 1980;
- Carla Lodolini Tupputi, Il Parlamento Napoletano del 1848 –1849. Storia dell’istituto ed inventario dell’archivio,Camera dei Deputati, Archivio Storico, Roma 1992;
- Vincenzo De Cristo, Cittanova memorie glorie, (a cura di Arturo Zito de Leonardis), MIT, Cosenza 1974;
- Vincenzo Mezzatesta, Domenico Girolamo Muratore eroe di Vigliena e martire dell’Unità d’Italia, in Cittanova di Curtuladi, a cura di Arturo Zito de Leonardis, MIT, Cosenza 1986.