Federico Pizzuti [Rossano (Cosenza), 8 febbraio 1843 – Roma, 24 luglio 1905]
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Federico Pizzuti (alcune fonti riportano la variante Federigo) era figlio del barone Antonio e di Vincenza De Cesare, terzo di sette figli. Studiò a Napoli nel collegio del Gesù e, a sedici anni, s’arruolò nelle «Reali Guardie del Corpo a cavallo», reparto di élite dell’esercito borbonico. Nel settembre 1860, quando Garibaldi entrò trionfalmente a Napoli, Pizzuti aderì al nuovo ordine e fu inquadrato nei Carabinieri napoletani. L’anno dopo venne confermato nell’organico dei Carabinieri Reali e promosso luogotenente.
La carriera nell’Arma comportò, come di consueto, continui spostamenti, da una parte all’altra d’Italia. Nel 1862 Pizzuti era in Aspromonte, dove le regie truppe interruppero nel sangue la spedizione garibaldina diretta a Roma. Partecipò alla repressione del brigantaggio, nel 1866 combatté nella terza guerra d’indipendenza. L’anno dopo, quando comandava la tenenza di Orvieto, si trovò al centro di avvenimenti clamorosi.
Garibaldi, creando grande imbarazzo al governo di Urbano Rattazzi, organizzò una nuova spedizione armata contro lo stato pontificio. A seguito della convenzione del settembre 1864, le truppe francesi avevano lasciato Roma, a patto che le autorità italiane impedissero la violazione dei confini. Il segnale d’allarme scattò quando Garibaldi si trasferì in Toscana. Il 22 settembre 1867 era ad Arezzo, dove arringò la folla con le parole: «Dobbiamo andare a Roma ad aiutare i Romani: chi ha coraggio mi segua; chi non ha coraggio stia a casa colle donne». Tutta la zona di confine entrò in agitazione, per l’afflusso di volontari. L’Eroe dei due mondi il pomeriggio del 23 settembre partì da Arezzo, diretto a Sinalunga sulla linea ferroviaria per Siena. Il confine non era lontano. I prefetti furono allertati: dovevano impedire l’azione su Roma, qualunque itinerario fosse stato scelto dai garibaldini. Il titolare della sede di Perugia, Giuseppe Gadda, poi ministro nel governo Lanza, telegrafò al sottoprefetto di Orvieto: «Faccia partire subito treno speciale con ufficiale carabinieri e predisposta truppa per Sinalunga, ove effettueranno arresto Garibaldi traducendolo Firenze disposizione Ministero. Raccomando azione rapida, usando ogni possibile riguardo». L’ufficiale era Federico Pizzuti, che si mosse con cinque carabinieri e 105 soldati di fanteria comandati da un capitano (trattandosi, però, di servizio di polizia, la qualifica di Pizzuti prevaleva sul grado gerarchico). Nel trasmettergli l’ordine, il sottoprefetto di Orvieto, Girolamo Scoppa, aggiunse: «Il ministero raccomanda la rapidità dell’azione e che siano usati i maggiori riguardi ed io, dalla di lei esperimentata sagacia e prontezza, mi auguro completi risultamenti».
Il treno speciale giunse a Sinalunga intorno alle 4.30 del 24 settembre. Pizzuti fece bloccare le strade del borgo e fermare chiunque circolasse. Accompagnato da due carabinieri arrivò alla casa di Luigi Agnolucci, dove Garibaldi dormiva. «Lo trovai in letto; gli partecipai l’ordine di accompagnarlo altrove, al che Egli rispose essere a mia disposizione». Al generale fu concesso il tempo per un bagno, poi la strana comitiva, circondata dalla folla «mal frenata dalla presenza della truppa», si recò al treno, che partì. Non si fermò però a Firenze, ma proseguì per Alessandria, luogo d’origine del capo del governo. Il convoglio arrivò dopo una sosta a Voghera, avendo Garibaldi confidato a Pizzuti d’essere indisposto. Inutilmente, il generale chiese di potere pernottare in quella località. «Non vi fu novità di sorta, eccetto i soliti gridi, che usando prudenza non ebbero altro seguito». Due fedelissimi avevano ottenuto di accompagnare Garibaldi nel viaggio.
Quando il treno speciale arrivò dopo le 10 di sera, ad Alessandria infuriava un temporale. La città era inconsapevole dello straordinario avvenimento in corso. All’ingresso dell’immensa Cittadella, l’ufficiale di picchetto fece presentare le armi al generale ma intervenne un superiore: «Signor tenente, ai prigionieri politici non si presentano le armi. Vada a costituirsi immediatamente in arresto». L’illustre prigioniero allora intervenne, invitando tutti alla calma. La guarnigione nei giorni successivi dette vita a clamorose dimostrazioni di solidarietà verso Garibaldi.
Pizzuti, allora ventiquattrenne, rientrò a Orvieto, avendo assolto, scrupolosamente ed efficacemente, il non facile compito affidatogli. A conclusione del rapporto, riferì ai superiori: «Io cercai di conciliare tutta la possibile politezza col mio dovere. […] Il generale non ebbe a lagnarsi, anzi spesso ringraziava delle profferte che gli erano fatte da me e dal capitano di fanteria a mia disposizione». Il sottoprefetto Scoppa gli telegrafò: «Io soddisfatto sua condotta». Garibaldi, per ricordo, donò a Pizzuti un prezioso bocchino di schiuma.
L’ufficiale non poté rimanere in Umbria poiché, minacciato di rappresaglie dai garibaldini più esagitati, fu trasferito in Campania. Prestò poi servizio nella Legione Carabinieri di Firenze. Nel dicembre 1873, quand’era in Piemonte, a Ivrea, fu promosso capitano. Gli fu conferita onorificenza di cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, «per distinti e segnalati servigi resi allo Stato, massime per la pubblica sicurezza». Maggiore dal giugno 1881, fu addetto alla Legione Allievi, in seguito destinato in Sicilia. Nel 1890, da colonnello, comandò la Legione Carabinieri di Bologna. Due anni prima si era distinto a Verona, nei soccorsi alla popolazione colpita dalla disastrosa alluvione del fiume Adige. Nel 1894 era a Palermo, al tempo della repressione del movimento dei fasci siciliani. Lo stesso anno ricevette onorificenza di Ufficiale dell’Ordine Mauriziano.
Quando era ormai uomo maturo, il contemporaneo Eugenio De Rossi lo descrisse così: «Piccolo, tozzo, panciutello; con testa rotonda, collo corto, capelli fitti, grigi, a spazzola, baffetti bianchi, occhi neri vivacissimi, mani e piedi piccolissimi. Intelligente, avveduto, furbo, della furbizia dirò professionale. […] Teneva un diario, ma con in più una rubrica nella quale ognuna delle pagine era dedicata a una persona da lui conosciuta. Di ognuno era tracciata la prima impressione, il ritratto fisico, tutto quanto si diceva o sapeva di lui; infine questo quadro era continuamente arricchito di nuove notizie e nuovi dati, a volta a volta che venivano a conoscenza di Pizzuti». Gli attribuivano la massima: «Non vi è famiglia che non abbia la sua pecora zoppa, non vi è persona che non abbia la sua macchiolina o il suo cadavere sulla coscienza: scopritelo e l’uomo è vostro».
Dal matrimonio con la baronessa siciliana Maria Interlandi di Carmito nacque numerosa prole (tre femmine e cinque maschi, alcuni dei quali s’avviarono alla carriera militare). Fu vita fatta anche di rinunzie, poiché la famiglia non era abbastanza agiata. Alla fine dell’Ottocento, per breve tempo, Pizzuti lasciò i Carabinieri per comandare la Brigata Bergamo di stanza a Udine. Rientrato nell’Arma, fu nominato comandante generale, primo meridionale a ricoprire l’importante incarico. Arrivò al vertice della carriera nell’aprile 1904, a 61 anni, ma il 24 luglio dell’anno successivo fu colto da fatale malore al tavolo di lavoro. La salma fu traslata a Perugia. (Donato D’Urso) © ICSAIC 2024 – 08
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Nota bibliografica
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- «Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia», 6 febbraio 1880, p. 514;
- «Il Carabiniere», anno XVII, n. 10, 10 marzo 1889, p. 77;
- Giuseppe Stocchi, L’arresto di Garibaldi a Sinalunga, Tip. Alatri, Cortona 1894;
- Giuseppe Gadda, L’arresto di Garibaldi a Sinalunga, «Nuova Antologia», vol. LXVII, 16 gennaio 1897, pp. 201-213;
- «Gioventù Calabrese», 31 agosto 1905;
- Raffaele De Cesare, L’arresto di Garibaldi a Sinalunga dal diario di chi l’arrestò, «Il Risorgimento italiano», anno II, n. 2, aprile 1909, pp. 193-198;
- L’arresto di Garibaldi a Sinalunga: relazione dettagliata compilata dall’ing. Luigi Agnolucci, Tip. Pichi, Arezzo 1911;
- Eugenio De Rossi, La vita di un ufficiale italiano sino alla guerra, Mondadori, Milano 1927;
- Giuseppe Garibaldi ad Alessandria, «Corriere di Alessandria», 28 maggio 1932;
- Garibaldi nella Cittadella di Alessandria (1867), «Camicia Rossa», agosto-settembre 1933, pp. 180-181;
- Ulderico Barengo, Vicende mazziniane e garibaldine nelle carte dei Carabinieri Reali, Ed. Alfieri, Milano 1942;
- Raffaele De Cesare, Roma e lo stato del papa, Newton Compton 1975, p. 560;
- Giorgio Maiocchi, Carabinieri: due secoli di storia italiana, Compagnia Generale Editoriale, Milano 1980-1981, ad indicem;
- Benito Soranna, Federico Pizzuti da Rossano: il tenente dei Carabinieri che nel 1867 arrestò Garibaldi, «Calabria letteraria», nn. 7-8-9, 1988, pp. 24-26;
- «Notiziario storico dell’Arma dei Carabinieri», a. 1, n. 6, 2016, pp. 16-18.