Amedeo Ricucci [Cetraro (Cosenza), 31 luglio 1958 – Reggio di Calabria, 11 luglio 2022]
Giornalista e blogger, nacque da Francesco, medico, e da Rachele Ferrara, casalinga, che ebbero quattro figli; Antonino, Annamaria, Rossella e quindi Amedeo, che allo stato civile risulta registrato come Amedeo Maria. Dopo la scuola dell’obbligo frequentò il Liceo Classico di Cetraro e in seguito seguì il corso di laurea in Economia presso l’Ateneo di Bologna, conseguendo la laurea in Sviluppo e Cooperazione internazionale e il Master in Relazioni Internazionali nel 1985.
Anticonformista, sensibile ai problemi della giustizia sociale, fece le sue prime esperienze in aree di guerra dove la dignità degli esseri umani era calpestata, acquisendo documenti e fotografie per conto di diverse organizzazioni umanitarie.
Le esperienze di quei viaggi vennero riportate anche attraverso articoli e interviste dal 1990 al 1995, scritti da free-lance su Nigrizia, rivista mensile dei missionari comboniani e su Africa e Mediterraneo, trimestrale della Iscos Cisl. Gli argomenti trattati erano legati alle crisi politiche nell’area centrafricana, con serie situazioni presenti in fatto di sanità, economia, legalità, integrazione. Portò all’attenzione le realtà nei territori di Benin, Liberia, Ghana, Guinea Conakry, Zaire, Madagascar e di altri stati africani prevalentemente francofoni.
Curò anche la realizzazione, assieme ad altri esperti, di monografie audiovisive con il COSPE, organizzazione non governativa, sostenute dall’Unione Europea, Regione Emilia e Romagna, Provincia e Comune di Bologna.
Iniziò a lavorare alla Rai nel 1993, quando era ancora praticante giornalista. Il 2 febbraio 1998, dopo aver sostenuto l’esame di Stato, venne iscritto all’Albo dei Giornalisti professionisti, presso l’Ordine regionale del Lazio, essendosi trasferito a Roma.
Sin dall’ingresso in Rai, con i servizi speciali per il TG1 e quindi per i rotocalchi televisivi Mixer, Professione Reportere La Storia siamo noi, iniziò a seguire i più importanti conflitti bellici presenti nell’area nordafricana, mediorientale e balcanica. Seguì le dinamiche delle guerre e della storia di quei popoli in Algeria, Somalia, Libano, Tunisia, Libia, Siria, Palestina, Iraq, Iran, Afghanistan, Rwanda e Liberia.
Pochi mesi dopo l’inizio dell’attività di inviato della Rai era anche lui in Somalia il 20 marzo del 1994, quando vennero uccisi la sua collega Ilaria Alpi e il cameraman Miran Hrovatin, a Mogadiscio per il Tg3.
Era un professionista profondamente innamorato del suo mestiere e rigoroso nel raccontare i fatti, spesso drammatici e crudi, che conduceva con tenacia le inchieste scavando a fondo tra le cause che originavano i conflitti, facendo emergere quello che lui definiva «il volto nascosto dell’informazione televisiva». Il suo collega Riccardo Iacona, conduttore della trasmissione di Rai 3 Presa diretta, lo definiva «un giornalista che non si accontentava della superficie della cronaca».
L’attività di inviato della Rai fu intensa e non priva di insidie, e anche con emozioni per eventi drammatici. Assistette, il 13 marzo del 2002, all’uccisione di Raffaele Ciriello, medico e fotoreporter per passione, che supportava il giornalista Massimo Alberizzi del Corriere della Sera, colpito a Ramallah, in Cisgiordania, da una raffica di proiettili esplosi (secondo alcune fonti per errore) da un carro armato israeliano. Ricucci, benché consapevole dei rischi che anche lui correva quotidianamente, fu turbato da questo evento e ne scrisse nel suo libro La guerra in diretta. Iraq, Palestina, Afghanistan, Kosovo.
Nel 2011 diede vita al blog Ferri vecchi, presente sul web con un motto significativo a conferma di un rigore professionale incontestabile: «Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia, tutto il resto è propaganda».
Era appena approdato alla redazione di Speciale Tg1, nel 2013, quando venne sequestrato in Siria. Era il 3 aprile 2013, e assieme a lui c’erano i colleghi Elio Colavolpe, Susan Dabbous, italo-siriana, e Andrea Vignali. Tra la regione di Idlib e quella turca di Hatay, caddero nelle mani dello Jabhat al-Nusra, un gruppo armato jihadista salafita operante tra la Siria e il Libano da poco confluito nel neo-costituito ISIS (Islamic State of Iraq and Syria). Vennero liberati dopo undici giorni di prigionia, verificata la loro reale condizione di giornalisti e non di spie, dopo un intervento diplomatico dell’unità di crisi del Ministero degli Esteri italiano rafforzato da un silenzio-stampa per tutta la durata del sequestro.
Ricucci non si occupò però solo di guerre e di disagi sociali delle popolazioni coinvolte. Nei programmi della Rai aveva trattato anche altri argomenti, come i rapporti segreti tra Unione Sovietica e Vaticano (Russicum. Le spie del Vaticano, in La Storia siamo noi, nel 2004), ma le sue inchieste, documenti della storia, sono state prevalentemente legate alle realtà che aveva toccato con mano e che aveva puntigliosamente analizzato e documentato, da Un segreto di Stato: il caso Toni De Palo (2007) a Guerra, bugie e tv e Cartoline dall’Iraq (2010), La guerra di Gheddafi e le bombe della Nato e Muhammar Gheddafi. Tutti i volti del potere (2011), I fantasmi della nuova Libia e Siria 2.0. La battaglia di Aleppo (2012), Giulio Regeni: il corpo del reato (2016), ISIS: è finita? (2018), Figlie di un Dio minore (2019), e molte altre testimonianze. Per lui il servizio pubblico aveva «il dovere di raccontare» e dalla Rai aveva avuto “carta bianca”. In diversi programmi televisivi, inoltre, ha trattato le problematiche dei migranti che arrivavano via mare sulle coste italiane scappando dalle guerre e da regimi oppressivi. Da sindacalista dell’Usig-Rai, inoltre, è stato in prima linea anche nella difesa dei diritti dei lavoratori e di un mestiere che nel tempo è stato considerato un orpello di cui il mercato dell’informazione potrebbe fare a meno.
Ha viaggiato molto per lavoro e la sua permanenza a Roma è sempre stata breve per via dei numerosi impegni. Tuttavia, quando possibile, anche se per pochi giorni, ritornava a Cetraro dai suoi affetti, la sorella Rossella, suo marito Luigi Mari e i nipoti. Non si era mai sposato e non aveva figli, sulla sua vita privata è stato sempre molto riservato.
Negli ultimi anni ha pubblicato Caro COVIDiario. Storia di una quarantena, descrivendo la sua personale esperienza del lockdown durante il periodo acuto della pandemia da Covid e si era riavvicinato alla realtà sociale e criminale della sua terra, la Calabria, attraverso un’inchiesta giornalistica andata in onda nel novembre 2022, nella quale ha svelato codici, comportamenti, rituali delle famiglie di ’ndrangheta, curato per Speciale Tg1 e completato dalla redazione dopo la sua morte.
Durante le ultime riprese di questo documentario dal titolo Calabria, bianco e nero ha accusato il malore che lo ha stroncato in un albergo di Reggio di Calabria. Aveva 63 anni. Era ammalato da tempo, ma non aveva affatto rinunciato ai suoi impegni. Voleva reagire al male attraverso il lavoro.
Igor Pellicciari, professore ordinario di Storia delle Istituzioni Politiche all’Università Carlo Bo di Urbino, lo ha così ricordato dopo la scomparsa: «Era mosso dal fiuto per lo scoop, spesso si muoveva da lupo solitario, fuori dai circuiti predefiniti per la stampa internazionale. Il suo giornalismo dal fronte, alla Ernest Hemingway, era di sostanza, puro e fattuale, di ricerca e investigativo, con informazioni di prima mano raccolte di persona dove altri inviati non osavano spingersi. In silenzio e lontano dai riflettori si adoperava per le vittime civili dei conflitti». Nel sottolinearne le qualità professionali, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, ha evidenziato: «Dare voce a chi non ha voce dovrebbe essere uno dei compiti più nobili del giornalismo».
Per Rai1 aveva realizzato pochi mesi prima della sua scomparsa il reportage Fame, facendo prendere la parola a chi opera per contrastare la malnutrizione dei più deboli. Ed era stato tra gli 11 inviati di guerra firmatari di una lettera aperta contro la disinformazione sul conflitto tra Russia e Ucraina iniziato nel febbraio del 2022.
I suoi numerosi lavori hanno ricevuto premi e riconoscimenti in Italia e all’estero.
Riposa nel cimitero di Cetraro, nella cappella di famiglia. (Letterio Licordari) © ICSAIC 2022 – 12
Principali pubblicazioni
- La guerra in diretta. Iraq, Palestina, Afghanistan, Kosovo. Il volto nascosto dell'informazione televisiva, Ed. Pendagron, Bologna 2004;
- Cronache dal fronte: parole e immagini, Ed. Castelvecchi, Roma 2019;
- Caro COVIDiario: Storia di una quarantena, BrainNws Production, Roma 2020.
Principali premi e riconoscimenti ricevuti
- FIGRA - Festival International du Grand Reportage d’Actualitè et documentaire de societè - Parigi (1999)
- Festival International des Programmes Audiovisuels - Biarritz, Francia (2000)
- Festival Internazionale del cinema - Salerno (2000 e 2010)
- Premio Ilaria Alpi – Riccione (2001)
- Tv Festival - Bar, Montenegro (2010)
- Premio Giornalisti del Mediterraneo - Otranto (2012 e 2015)
- Premio La Matita Rossa e Blu della Fondazione Falcomatà – Reggio Calabria (2013)
- Prix Bayeux-Calvados aux correspondants de guerre - Normandia (2013)
- Premio Internacional de la Convencion - Cuba (2015)
- Montecarlo Television Festival – Principato di Monaco (2016)
- Premio L'Anello Debole al Capodarco l'Altro Festival - Fermo (2018)
- Premio Il Coraggio delle Immagini Festival Le Voci dell'Inchiesta – Pordenone (2018)
- Premio Carlo Azeglio Ciampi La Schiena dritta – Ordine dei Giornalisti, Roma (2019)
- Premio Acqui Storia per La storia in TV – Acqui Terme (2019)
- Premio Javier Valdez – Roma (2020)
- Premio Religion Today Film Festival – Trento (2020)
- TV Festival - Città del Messico (2020)
- CMCA Center Mediterranean Communication Audiovisuelle – Marsiglia (2020)