Beniamino Romeo [San Lucido (Cosenza), 12 settembre 1815 – 8 settembre 1905]
Poco si conosce della sua infanzia e della prima giovinezza. Si sa che il padre si chiamava Placido, che sposò a Rende una Zagarese e che da quel matrimonio nacquero sei figli, due maschi e quattro femmine. Certo è che fu educato nell'ambiente del tempo, molto contrario al «maledetto Borbone» come egli lo avrebbe chiamato. Lo troviamo giovanissimo, così, a Venezia nel 1848. Furtivamente poté evitare la sorveglianza degli austriaci durante l'assedio e sbarcò a Ravenna, poi andò a Roma dove prese parte alla rivoluzione dello stesso anno, quando il Papa Pio IX fuggì a Gaeta, in seguito alla proclamazione della Repubblica Romana a opera di Giuseppe Mazzini.
Ma il Romeo aveva un odio diretto contro il Borbone e perciò presentatosi a P. P. Ventura, incaricato siculo a Roma, ottenne il passaggio gratuito sino a Palermo. Ivi giunto fu ammesso e arruolato nel reggimento di artiglieria di campagna in qualità di ufficiale. Il colonnello del tempo lo volle come suo segretario particolare.
La Sicilia era sotto il governo di Ruggiero Settimo; ministro delle Finanze era Michele Amari. Rotto
l'armistizio tra il governo di Sicilia e il Borbone di Napoli, il Romeo fu destinato con una batteria a rinforzare Catania: la lotta fu cruenta e per ben tre volte l'esercito borbonico fu respinto; ma per il numero soverchiante delle forze nemiche e anche per qualche tradimento, come ci fa sapere il Romeo, dopo aspro combattimento da una parte e dell’altra, si dovette abbandonare Catania e battere in ritirata verso Palermo per custodire almeno quella città.
Ma il Presidente del Governo era fuggito dall'isola, insieme con alcuni comandanti e sebbene si pensasse di arrivare in città, fare le barricate e circuirla di cannoni, pur tuttavia l'esercito borbonico si alcuni comandanti e sebbene si avanzava senza seri ostacoli e a Misilmeri, nei pressi di Palermo, si principiò una guerra terribile. A tali fatti d'armi prese parte Romeo e per il suo valore fu promosso luogotenente.
La guerra continuò per le montagne e per le pianure palermitane; ma il popolo avvilito e senza una direzione di comando cedette dinanzi alla superiorità numerica dei Borboni, però l’esercito riuscì a capitolare onorevolmente. Tutti i capi e gli ufficiali dell’esercito potettero abbandonare la Sicilia e circa trecento ufficiali di ogni grado, scortati da una fregata di guerra, furono imbarcati ed allontanati dal- la Sicilia. Molti sbarcarono in Malta; altri presero la via dell'Egitto; il nostro Romeo scese in Alessandria d'Egitto, ma lì soffri molto non trovando lavoro e si recò alla volta di Malta dove però non poté neanche sbarcare, perché ebbe ordine di ripartire e si recò a Tunisi dove non trovò nessuna occupazione per campare la vita, nemmeno come domestico e siccome i pochi risparmi che aveva andavano assottigliandosi, partì per la Francia; sbarcò a Marsiglia dove trovò migliaia di emigrati, ma quasi tutti erano nella vera miseria, eccetto uno conterraneo che lo sovvenzionò e cioè Giovanni Mosciaro da San Benedetto Ullano. Ebbe pure aiuti dai fratelli Plutino da Reggio Calabria; ma tali aiuti furono insufficienti tanto che, per vivere, fu costretto a chiedere l’elemosina.
Non volle più rimanere in Marsiglia e, animo ribelle, raggranellato il viaggio parti per la Sicilia; sbarcò a Messina, ma subito venne arrestato e rinchiuso nella terribile prigione del tempo, con la catena al piede, soffrendo moltissimo e dormendo sulla nuda terra. Il poco bagaglio personale che aveva gli era stato sequestrato dalla polizia borbonica e mai lo ebbe consegnato.
Da Messina fu trasferito nelle carceri di Napoli e rinchiuso in S. Maria Apparente, dove trovò Edoardo Cappelli, il fratello del suo capitano. Rimase in carcere lunghi anni e poi fu posto in libertà. Fu in Napoli un po’ di tempo, molto dolente per le continue visite che aveva in casa dalla Polizia, tanto che egli scrive: «Ho sofferto più nella libertà che nelle prigioni», perché le visite domiciliari erano continue sia durante il giorno e sia durante la notte.
Nel 1860 riprese il servizio militare e si arruolò con il generale Orsini rivivendo ore di ansie insieme con il maggiore Cappelli, Sprovieri, Materazzo e Cosenz, che era stato insieme con il Romeo a Marghera, capitano dello Stato Maggiore.
Amico intimo del Romeo fu il maggiore Moisé Maldacea, un foggiano. ex militare dell’esercito napoletano, il quale, oltre alla difesa di Venezia, prese parte a tutte le campagne dell’impresa dei Mille e fu ferito a Calatafimi.
Romeo ebbe due medaglie di argento la prima con le due fascette: «Campagne 1848-1849», la seconda dell’Unità di Italia 1848-1870.
Fu reintegrato nel grado militare di tenente con decreto del 20 dicembre 1877.
Visse in S. Lucido nel seno della sua famiglia, benvoluto e rispettato dai suoi concittadini che lo elessero Sindaco del paese per lunghissimi anni.
Morì nel compianto generale: aveva compito novant’anni da quattro giorni. (Mis, con aggiornamenti) © ICSAIC 2023 – 06
Nota bibliografica
- Mis, Un patriota dimenticato del nostro risorgimento: Beniamino Romeo, in «Cronaca di Calabria», 13 giugno 1937.