Pietro Aristeo Romeo [Santo Stefano in Aspromonte (Reggio Calabria), 5 luglio 1817 - 18 novembre 1886]
Nacque da Giovanni Andrea e da Caterina Marra. Insieme al cugino Stefano frequentò il Seminario di Reggio, da dove vennero entrambi espulsi con l'accusa di diffondere idee sovversive ed eterodosse rispetto la dottrina cattolica. Partecipò attivamente alla vita cospirativa e rivoluzionaria sotto la guida del padre, che fu Gran Maestro della Carboneria. Iscritto nelle liste degli attendibili, aderì alla Giovine Italia. Studiò Ingegneria a Genova dove conseguì la laurea.
Partecipò al movimento insurrezionale di Reggio Calabria del 2 settembre 1847, organizzato dallo zio Domenico insieme ad Antonino Plutino, al Canonico Paolo Pellicano e ad altri patrioti. Il moto fu represso nel sangue, un insuccesso determinato dal fatto che i patrioti messinesi insorsero non come pattuito, ma il giorno prima; pertanto il destino degli insorti reggini fu compromesso sin dall'inizio della sollevazione, poiché le truppe borboniche, già in allarme, con due veloci piroscafi approdarono a Reggio costringendo gli insorti alla fuga. Successivamente, il 15 settembre, le guardie urbane di Pedavoli riuscirono a raggiungere il gruppo guidato da Domenico Romeo che venne ucciso presso il borgo di Podargoni, in località Marrappà , alle falde dell'Aspromonte dove, dopo un violento scontro, Pietro Aristeo fu catturato e costretto ad assistere alla decapitazione del corpo esamine dello zio, la cui testa mozzata fu infilzata su una picca dopo che egli si era rifiutato di portarla tra le braccia, malgrado minacciato di morte. La testa del martire fu esposta presso le carceri di San Francesco, a Reggio Calabria, a macabro monito per quanti desiderassero una costituzione per uno stato liberale e libertario.
Nel 1848 fu condannato all'ergastolo e successivamente amnistiato. Insieme al padre si trasferì in esilio nel Regno di Sardegna. Un giornale torinese, nell'edizione dell'11 novembre 1848, gli dedicò la prima pagina con il ritratto stilografico di Pietro e del Gianandrea: «I Romeo, già avevano i petti afforzati contro i pericoli della guerra, non furono manchevoli alle promesse fatte alla patria, gli annali delle cui sventure vanno mescolati a quelli delle loro glorie. Sì: la fortuna disponga pure a suo grado degli eventi; ma la gloria sta sempre nelle mani degli uomini che han saputo meritarla. I Romeo provarono dì esservene una per loro indipendente del successo. In varie guise sferzati dal flagello della sventura, le loro virtù, l'altero e indomabile coraggio, l'alio sentimento d'onore, l'altissimo affetto per la libertà , gli animi nobili e fieri rimasero non maculali, e a malgrado l'avversità della sorte, furono degni dell'ammirazione del mondo ».
La fama d'essere una famiglia di grandi patrioti, protesa nella lotta per l'Indipendenza e l'Unità d'Italia, li anticipò nei salotti della capitale sabauda, al punto che a Torino furono accolti con grande entusiasmo. In questo clima aderirono al progetto cavouriano e allo sviluppo di una realtà organizzativa rivolta a favorire la rinascita dei comitati liberali nel Sud, in attesa della giusta congiuntura per avviare nuovi moti.
Sempre a Torino, Pietro Aristeo prese contezza della gestione della macchina amministrativa e della progettazione e costruzione della linea ferrata come mezzo di mobilità e di sviluppo dei territori. Collaborò per un breve periodo con lo studio dell'ingegnere Sarti, specializzato nella progettazione di arsenali navali e di linee ferroviarie con tutti i relativi collegamenti integrati. Si fece apprezzare per le proprie competenze e per la ricerca di soluzioni progettuali innovative. Ottenne l'incarico di progettare e dirigere i lavori della linea ferroviaria che collegava Tortona a Voghera, all'interno della più importante linea Alessandria-Piacenza, ancor oggi essenziale via di collegamento a cavallo delle regioni Emilia, Lombardia e Piemonte.
Nel 1859, allo scoppio della II guerra d'Indipendenza contro l'Austria, lasciò lo studio dell'ingegnere Sarti per arruolarsi tra i volontari: il 21 agosto dello stesso anno fu assegnato come Istruttore presso il battaglione Cacciatori; successivamente guidò le truppe di stanza a Reggio Emilia, ottenendo la nomina a tenente due mesi dopo. In seguito fu inviato in missione a Rimini dal Governo Nazionale delle Province Modenesi e Parmensi. Alla fine della guerra e fino al 1860 soggiornò a Torino per collaborare e sostenere gli esuli meridionali. Fu un periodo di importante formazione politica alla luce dello Statuto Albertino e delle istituzioni che si erano nel frattempo sviluppate.
Dopo l'Unità d'Italia fu eletto alla Camera dei deputati nel collegio di Reggio Calabria, sedendo in mezzo ai cavouriani, tra i banchi della destra storica.
Fu tra i promotori dell'abolizione della pena di morte, in quanto faceva parte di un gruppo di deputati del neonato Regno d'Italia che percepiva l'abolizione della pena di morte come un dato imprescindibile per la costruzione di un sistema penale moderno, adeguato a uno Stato che fosse tale.
Nei diversi progetti di legge che si susseguirono sino all'entrata in vigore del Codice Zanardelli del 1889, l'abolizione della pena di morte fu sostenuta con forza dai diversi circoli patriottici e in tal senso Pietro Aristeo aveva sostenuto l'azione politica di Pasquale Stanislao Mancini che in parlamento fu il capofila della battaglia abolizionista. Fu organizzata una campagna in tal senso che raccoglieva le opinioni di giuristi, studiosi e politici attraverso il «Giornale per l'abolizione della pena di morte » fondato nel 1861 da Pietro Ellero e Francesco Carrara.
Fu iniziato in Massoneria nella Loggia Domenico Romeo di Reggio Calabria, intitolata a suo zio, la prima che fu fondata in Calabria dopo l'Unità d'Italia.
Nel 1874 fu nominato dal consiglio provinciale come componente della Commissione per il censimento dei terreni incolti insieme ad Antonio De Leo.
Nel 1875 entrò a far parte della società geografica Italiana. Presidente di numerose commissioni di Concorsi agrari regionali, per l'incremento della produzione e della qualità della produzione agricola calabrese.
Una volta ritiratosi dalla politica attiva, si dedicò alla sua azienda agricola di monte Basilicò e all'associazione anticlericale la «Fratellanza Operaia », di cui fu eletto Presidente; si spense all'età di 69 anni a Santo Stefano in Aspromonte. (Fabio Arichetta) © ICSAIC 2020
Fonti archivistiche
- Comune di Santo Stefano in Asprmonte, Registro dei nati, Atto di nascita n. 27, 1817;
Fonti bibliografiche
- Giornale per l'abolizione della pena di morte, Voll. I-III, Tipografia Giuseppe Redaelli, Milano 1861;
- Aurelio Romeo (Jejè), Pietro Aristeo Romeo e il suo tempo, Tipografia P. Lombardi, Reggio Calabria 1887;
- Aurelio Romeo, Pensiero ed azione, Ceruso, Reggio Calabria 1895;
- Vittorio Visalli, Lotta e martirio del popolo calabrese, Mauro, Catanzaro 1928;
- Gian Biagio Furiozzi, L'emigrazione politica in Piemonte nel decennio preunitario, L.S.Olschki, Milano 1979;
- Giuseppe Musolino, S. Stefano in Aspromonte. Cinque patrioti, un ragazzo e la bandiera, Rexodes Magna Grecia, Reggio Calabria 2003;
- Giuseppe Musolino, S. Stefano in Aspromonte. Storia e Protagonisti, Rexodes Magna Grecia, Reggio Calabria 2009.