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Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea

  A cura di Pantaleone Sergi

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Serrao, Francesco Emilio

Francesco Emilio Serrao [Filadelfia (Vibo Valentia), 18 luglio 1840 – Roma 27 novembre 1910]

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Era uno dei nove figli di Teodoro e Carolina Zarlenga. Il padre, magistrato, fu uomo onesto e colto, autore di scritti giuridici ma, per carenza di beni di fortuna, non poté assicurare vita agiata alla famiglia. Quando morì, la vedova fu costretta a sistemare alcune delle figlie femmine presso l’Albergo dei poveri orfanelli.

Animato da passione patriottica, Francesco Emilio Serrao nel 1860 si aggregò ai garibaldini e combatté a Capua. Per questi meriti fu immesso nei ruoli della pubblica sicurezza e intraprese, a vent’anni, una carriera che lo portò a prestare servizio a Foggia, Vasto, Sora, Caserta, Formia, Napoli, Palermo, Torre Annunziata, Castellammare di Stabia distinguendosi, in particolare, nella repressione del brigantaggio meridionale e della malavita.

Giovanissimo sposò Maria Ruta di Caserta da cui ebbe nove figli.

Il marchese Rodolfo D’Afflitto, prefetto di Napoli, lo giudicò il miglior funzionario di polizia che avesse mai conosciuto. Altri sottolinearono, però, «il sentimento esagerato di se stesso e il disprezzo altrui, onde negli uffici era presto in guerra coi compagni». Più volte fu chiamato a lavorare presso gli uffici di gabinetto, sia a Roma coi ministri Lanza e Cantelli che nelle prefetture. Dopo essere stato di nuovo a Caserta, poi a Messina e Venezia, nel 1879 fu trasferito presso la questura di Roma col grado di ispettore.

In carriera ormai da un ventennio, Serrao continuò sempre a raccogliere encomi dai superiori che ne apprezzavano zelo, capacità e fedeltà, ma l’interessato per sé chiedeva piuttosto gratifiche in denaro e promozioni, assillato com’era dal bisogno economico. Per molti anni aveva dovuto dare soccorso ai fratelli bisognosi e in prosieguo dovette assicurare il pane alla assai numerosa famiglia, il tutto aggravato dalla malattia della moglie.

Dopo essere stato reggente-questore di Roma, nell’aprile 1884 fu promosso questore con destinazione Livorno. Lo stesso anno tornò con analogo incarico a Roma, avendo finalmente acquisito un po’ di tranquillità relativamente alle finanze domestiche. Per più di tre anni diresse la sicurezza nella capitale, confermando le doti riconosciute di preparazione e solerzia. La stampa di opposizione non mancò però di criticare l’eccessiva sua condiscendenza verso i governanti pro-tempore.

Alcuni aneddoti fanno capire quale fosse il carattere e il modus operandi di Serrao. Quando fu organizzata una manifestazione garibaldina e gli fu chiesto di tenere lontano la forza pubblica, Serrao replicò così: «Il questore di Roma sono io e alla tutela dell’ordine pubblico penso io, per tante ragioni, compresa questa che sono pagato a bella posta». In un’altra circostanza, poiché aveva incaricato alcune guardie di vigilare sulla sicurezza del re recatosi a caccia a Castelporziano, le stesse, scoperte sul posto da Umberto I, s’erano sentite ordinare di tornarsene a Roma. Quando lo seppe, Serrao reagì con queste parole: «Sua Maestà fa il re, ma io faccio il questore. Ritornate indietro e se vi fate di nuovo vedere vi schiaffo in prigione».

Probabilmente in relazione alla gestione dell’ordine pubblico, nell’aprile 1888 fu trasferito da Crispi a Ferrara, come consigliere delegato presso quella prefettura. Fu comunque una svolta nella sua vita, poiché significò un cambio radicale. Infatti, fu poi nominato prefetto. Svolse le funzioni a Ferrara, poi a Como, dove mantenne cordiali relazioni con don Luigi Guanella, visitando anche la Casa della Divina Provvidenza. La carriera proseguì a Ravenna e Bologna. Chi lo criticava, lo definiva, volta per volta, prefetto “crispino”, “giolittiano”, “nicoterino”.

Nel maggio 1898, quando in tante parti d’Italia esplose la rivolta per il pane, il governo Rudinì affidò ad alcuni comandanti di corpo d’armata la direzione generale della polizia, cosicché i prefetti di Bologna, Ferrara, Forlì, Modena e Ravenna furono posti alle dipendenze del comandante del VI Corpo d’Armata, per tutto ciò che si riferiva al servizio della pubblica sicurezza. Chiusasi quella pagina drammatica, nel settembre 1898 Serrao tornò a Roma come prefetto, subentrando al corregionale Francesco De Seta (sub voce).

Naturalmente dedicò massima attenzione ai problemi della sicurezza, tenuto conto che la capitale era sede della corte, delle rappresentanze diplomatiche e del Vaticano. I recenti attentati anarchici che avevano colpito a morte il presidente francese Sadi Carnot e l’imperatrice d’Austria Elisabetta misero in allarme le polizie di tutta Europa e proprio a Roma il governo italiano organizzò la conferenza internazionale anti-anarchica. Si pensò che per Roma fosse necessario un nuovo ordinamento della polizia, per migliorarne efficienza e affidabilità. Era una riforma complessa, che intendeva anche introdurre la figura del poliziotto di quartiere. Tutto poi naufragò per rivalità, diffidenze, problemi di bilancio. Comunque sia, Serrao s’impegnò al massimo, concentrando l’attenzione su tutti gli oppositori del governo: clericali, internazionalisti, repubblicani.

All’inizio di ottobre del 1899, forse anche per il sovraccarico di lavoro, fu colto da un grave malore e collocato a disposizione. Quando le condizioni di salute migliorarono, fu mandato come prefetto a Messina, dove però entrò in contrasto con alcuni politici locali, provocando il malumore di Giolitti, attentissimo a conservare il consenso in parlamento dei deputati meridionali. Alla fine, fu indotto a chiedere il collocamento a riposo.

Morì a Roma il 27 novembre 1910 e al funerale ci fu larga partecipazione di autorità e cittadini. Il figlio Rodolfo, avvocato, ebbe un ruolo nella vicenda giudiziaria che seguì al clamoroso omicidio della contessa Giulia Trigona, dama di corte della regina Elena, commesso dall’amante tenente Vincenzo Paternò. Giovanni Andrea Serrao, altro figlio avvocato, fu vicino a Vittorio Emanuele III e patrocinatore di Casa Savoia. (Donato D’Urso) ICSAIC 2024 – 8

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Nota bibliografica

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  • «La Divina Provvidenza», 1894, p. 133;
  • «Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria», 1910, p. 368;
  • Per Francesco Emilio Serrao 1840-1910, Stab. Tip. Emiliano, Bologna 1911;
  • Vittorio Gorresio, Risorgimento scomunicato, Bompiani, Milano 1977, p. 302;
  • Mario Missori, Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del regno d’Italia, Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma 1989, ad indicem;
  • Maria Guercio, La prefettura di Roma, in Le riforme crispine. Amministrazione centrale,Giuffrè Editore, Milano 1990, p. 811;
  • Fausto Fonzi, I prefetti del Regno d’Italia: dalla ricerca alla didattica della storia nell’Università. Due esemplificazioni, in L’archivio centrale dello Stato 1953-1993, a cura di Mario Serio, Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma 1993, p. 123;
  • La Prefettura di Roma 1871-1946, a cura di Marco De Nicolò, il Mulino, Bologna 1997, pp. 445-459;
  • Silvio Furlani, La conferenza internazionale di Roma del 1898 contro l’anarchismo, in La svolta di Giolitti, a cura di Aldo A. Mola, Bastogi, Foggia 2000, pp. 23-41;
  • Andrea Ciampani, Cattolici e liberali durante la trasformazione dei partiti: la questione di Roma tra politica nazionale e progetti vaticani, Archivio Guido Izzi, Roma 2000, p. 273;
  • Francesco Perfetti, Parola di re: il diario segreto di Vittorio Emanuele, Le Lettere, Firenze 2006, pp. 46-47;
  • Vincenzo G. Pacifici, Un esempio della burocrazia nel regno d’Italia, S.S.A.I., Roma 2014, pp. 162-164;
  • Carlo Maria Fiorentino, Amore e morte al tramonto della bella époque: il delitto della contessa Trigona, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2016;
  • Giovanna Tosatti, Una polizia per la capitale nell’Italia di fine Ottocento, «Le Carte e la Storia», 2018, n. 2, pp. 78-88;
  • Stefano Tomassini, Italiani a Roma: cronache della capitale tra il 1870 e il 1900, Il saggiatore, Milano 2020, ad indicem.

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Nota archivistica

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  • Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale affari generali e del personale, serie II, b. 523, fasc. 13743;
  • Archivio centrale dello Stato, fondo Francesco Crispi, scatola 29, fasc. 226.

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