Luigi Sofrà [Galatro (Reggio Calabria), 15 novembre 1907 - Imperia, 17 febbraio 1994]
Figlio di Michele e di Manno Rosa; la sua vita è fin dall'inizio segnata da avvenimenti tragici: il terribile terremoto del 1908, l'emigrazione del padre in Argentina nello stesso anno e la prematura morte, nel 1919, della madre colpita dall'epidemia di «spagnola ». Il bambino, costretto ad abbandonare la scuola, viene allevato dai nonni e diventa guardiano di vacche per conto di un suo parente.
Subito dopo la morte della madre scappa di casa con l'intenzione di imbarcarsi per l'Argentina alla ricerca di suo padre. Si ritrova solo e sperduto in una città come Reggio in pieno caos dovuto alla ricostruzione post-terremoto e alla fine del conflitto. Trova lavoro in uno dei tanti cantieri edili come manovale con l'intento di mettere da parte il necessario per acquistare un biglietto per il Sud America.
Nel luglio del 1920 s'imbarca clandestinamente su una nave che però è diretta a Malta dove viene fatto scendere e rimpatriato dai funzionari del Consolato. Tornato al paese, il nonno riesce a procurargli un posto nella masseria di un ricco proprietario del luogo e in questo ambiente ritrova la parvenza di una famiglia poiché sia il proprietario che il fattore lo trattano come un figlio e gli insegnano vari mestieri.
Nel 1923, insieme con il figlio del massaro, emigra clandestinamente in Francia e si sistema a Tolone dove trova lavoro come muratore e si avvicina agli ambienti anarchici. Legge «Le Libertaire » e frequenta il sindacato e il circolo degli anarchici francesi; si avvicina poi al gruppo di fuoriusciti italiani che si raccolgono intorno ai giornali «Il monito » e «La Diana ». Nel maggio del 1925, coinvolto, suo malgrado, in un oscuro affare di contrabbando di sigarette, viene arrestato e condannato a un anno di carcere. Grazie all'aiuto dell'anarchico italiano Paoletti trova lavoro a Frejus e si attiva per ricostituire tra i lavoratori edili, la sezione sindacale.
Il suo attivismo in campo sindacale e l'aperta propaganda antifascista attirano l'attenzione della polizia francese che, aizzata anche dall'associazione degli imprenditori, tenta di far espellere gli italiani. Nell'aprile del 1927, durante una pausa dal lavoro, nel cantiere scoppia una rissa, e la polizia, prontamente chiamata, effettua numerosi arresti, ma Sofrà riesce a scappare e si rifugia in Lussemburgo. Ha un biglietto di presentazione per un anarchico italiano che si fa chiamare Angiolino Boccia e che altri non è che Angelo Sbardellotto. I due diventano amici inseparabili, frequentano gli stessi circoli, si danno alla diffusione militante della stampa anarchica e manifestano un'aperta simpatia per le idee di un anarchico italo-argentino, Severino Di Giovanni, definito un «idealista della violenza ». In questo contesto matura l'idea di un attentato a Mussolini o, in alternativa, nei confronti di qualche membro di Casa Savoia della cui esecuzione dovrà incaricarsi Sbardellotto.
A seguito dell'uccisione del Console italiano del Lussemburgo da parte dell'anarchico Gino D'Ascanio, la polizia comincia a espellere i rifugiati italiani e, prima di essere arrestati, i due amici riparano in Belgio. Dopo qualche mese Sofrà viene espulso dal Belgio e torna a Tolone con un passaporto intestato a tale Loddo Enrico nato a Lunusei in Sardegna; passano pochi giorni e la polizia francese lo arresta per possesso di documenti falsi e false generalità . Scontati i quattro mesi di prigione, non potendo rientrare in Lussemburgo, parte per Parigi e qui trova lavoro come garagista. Il soggiorno è però di breve durata: nel marzo del 1931 viene arrestato insieme con Tommaso Serra, che si fa chiamare «Barba », ed estradato verso il Belgio, alla frontiera riesce a fuggire e passando per Tolone, giunge infine a Barcellona.
A ottobre viene arrestato e processato per rapina a mano armata, nonostante si professi completamente estraneo al fatto (ed effettivamente è innocente) viene condannato a tre anni di carcere, ne sconta quasi due e viene espulso dalla Spagna nel marzo del 1933. Ripara in Svizzera, a Basilea, ma viene nuovamente arrestato e condannato per possesso di documenti falsi; esce dal carcere dopo qualche mese, poi viene di nuovo arrestato a Ginevra per furto e infine, nel settembre del 1934, è a Strasburgo. Intanto le autorità elvetiche lo segnalano all'Ambasciata italiana e questa, a sua volta, alla polizia politica italiana, che dirama subito l'ordine di arresto. Rientra in Svizzera e si sistema a Basilea dove viene arrestato nel novembre del 1937 per «infrazione al provvedimento di espulsione ». Per evitare l'estradizione inscena, alla stazione di Basilea, una plateale protesta, che attira l'attenzione di molti viaggiatori, i quali impediscono che i poliziotti lo facciano salire sul treno. Due giorni dopo, all'alba, questa volta scortato da una nutrita squadra di poliziotti, viene accompagnato al confine ed estradato in Italia. Immediatamente deferito al Tribunale Speciale, viene condannato a cinque anni di confino da scontare nell'isola di Ponza. Nel marzo del 1938 viene tradotto a Ponza e qui conosce il socialista Sandro Pertini e l'anarchico Giovanni Domaschi. In seguito viene trasferito a Ventotene e infine alle Tremiti; viene liberato alla fine di agosto del 1943.
Da Roma, dopo un viaggio rocambolesco, raggiunge la Calabria e non avendo altra sistemazione ritorna a Galatro suo paese natale. Ritrova alcuni vecchi socialisti e insieme a questi ricostituisce la Camera del lavoro, divenendone il segretario, e riallaccia i contatti con gli antifascisti calabresi, tra cui Enzo Misefari, fratello di Bruno e lo scrittore antifascista Fortunato Seminara, che viene nominato dagli Alleati, sindaco del paese. Con l'insediamento della nuova amministrazione, assume, con nomina del Prefetto, l'incarico di Commissario all'Ufficio razionamento.
Si scontra duramente con la burocrazia e, soprattutto, con il maresciallo dei Carabinieri, coinvolto, insieme con i funzionari del deposto regime, in traffici poco chiari, intrighi e intrallazzi vari. Denuncia pubblicamente le malversazioni che ha scoperto e viene arrestato con l'accusa di oltraggio a pubblico ufficiale. Qualche giorno dopo anche il sindaco viene arrestato con la ridicola e assurda accusa di «manifestare segni di squilibrio mentale ». Nella notte del natale del 1944 la popolazione di Galatro insorge e assedia la caserma dei carabinieri chiedendo la liberazione immediata dei due amministratori. Seminara viene subito liberato e parla al popolo proprio da un balcone della caserma mentre Sofrà , che era stato trasferito al carcere di Cinquefrondi, alle prime luci dell'alba, viene riaccompagnato a Galatro da un tenente dei carabinieri.
La sua esperienza come sindacalista e amministratore pubblico dura fino al 1947, poi amareggiato e disgustato dal comportamento dei burocrati locali e deluso per le scelte operate dal Sindacato, decide di tornare in Lussemburgo. Trova lavoro come edile e poi come operaio addetto agli altoforni; dopo oltre dieci anni di lavoro, gravemente ammalato, rientra in Italia e si sistema a San Remo, in Riviera. Negli anni Sessanta riprende i contatti con il movimento anarchico e intreccia una fitta corrispondenza con Aurelio Chessa, che ha organizzato e dirige l'Archivio Famiglia Berneri, e con la redazione di «Umanità Nova », senza riuscire, tuttavia, a reinserirsi concretamente nell'attività politica. Nel 1970 decide di trasferirsi nuovamente a Galatro e poi a Catona, ma già alla fine del 1971 parte per Imperia, che sarà il suo ultimo domicilio. (Antonio Orlando) © ICSAIC 2019
Opere
- Mondo senza frontiere, Coop. Tipolitografica, Carrara, 1979;
- Rimembranze di una vita errante. Autobiografia, Coop. Tipolitografica, Carrara, 1984.
Nota bibliografica
- Antonio Orlando, Anarchici e Anarchia in Calabria, Edizioni Erranti, Cosenza, 2018.
- Erik Pesenti Rossi, Vita di Fortunato Seminara scrittore solitario, Pellegrini, Cosenza 2012;
- Rocco Lentini, Fortunato Seminara. Biografia politica, Città del Sole, Reggio Calabria 2014.
Nota archivistica
- Archivio Centrale dello Stato (ACS), Casellario Politico Centrale (CPC) - D.G.P.S., b. 4854;
- ACS, CPC, D.G.P.S., Confino, b. 960.