Sprovieri Francesco Saverio [Acri (Cosenza), 2 maggio 1826 - Roma, 7 febbraio 1900]
Nacque da Michele e Beatrice Majerà , esponenti di famiglie di proprietari terrieri del Cosentino. Manifestò da subito una forte attitudine agli studi umanistici, anche se l'indole rivoluzionaria lo portò a essere discontinuo. Fece gli studi liceali a Cosenza e si trasferì a Napoli per quelli universitari, iscrivendosi alla facoltà di lettere e filosofia. Nel 1847 la sua casa di Napoli si trasformò in una fucina di cospirazione rivoluzionaria. Acquistata la fiducia del patriota Vincenzo Marsico fu inviato in quello stesso anno a Cosenza per organizzare con altri l'insurrezione. Falliti però i moti di Messina e di Reggio che furono repressi nel sangue, Cosenza non insorse e Francesco Sprovieri fu costretto a rientrare a Napoli dove fu immediatamente arrestato assieme ad altri congiurati: la sua casa era divenuta base logistica per un attentato a Ferdinando II, ordito dai suoi compagni ma non eseguito. Pagata una cauzione molto pesante riebbe la libertà .
Nel 1848 allorquando il re Ferdinando spedì un corpo sotto il comando di Guglielmo Pepe contro l'Austria in favore di Carlo Alberto, e quando il Borbone, ritirò le sue truppe, egli fu uno di quelli che rimasto fedele al generale Pepe, non obbedì all'ordine del Re, e attraversato il Po corse in difesa di Venezia e della Repubblica. Combatté a Marghera e comandò il forte di S. Giorgio in Alga nella Laguna Veneta, ultimo a capitolare dopo l'assedio.
Fuggì per dieci anni attraverso l'Europa accorrendo ovunque vi fosse da combattere per la libertà . In Grecia congiurò per la libertà dell'Albania e dell'Epiro dal governo ottomano. Ritornato in Italia fu espulso da Genova e si trasferì a Parigi dove combatté sulle barricate del 2 dicembre contro i soldati di Napoleone III. Aiutato dal generale Girolamo Calà Ulloa si nascose in Svizzera dove sostenne i liberali di Neà»chatel insorti in favore della Prussia e una volta ritornato in Italia, a Milano combatté con grande valore il 6 febbraio 1853 durante l'insurrezione proletaria e operaia della città , soffocata nel sangue nel giro di poco anche per il mancato raccordo fra socialisti e mazziniani. In questa circostanza Marx criticò aspramente Mazzini attraverso la stampa.
Nel 1859 partecipò alla II Guerra d'Indipendenza con il grado di Sottotenente e fu aggregato ai Cacciatori delle Alpi di Garibaldi. Combatté a Varese, a Como a Laveno dove fu ferito al braccio sinistro e fu portato all'ospedale di Cuvio.
Nel 1860, un anno dopo, ancora in fase di guarigione, con il fratello Vincenzo partì da Genova con la spedizione dei Mille. Come ufficiale fu aggregato, con il grado di Capitano, alla III Compagnia guidata da Francesco Stocco. Imbarcato sul «Lombardo » durante la navigazione sostituì Stocco al comando. Ferito alla gola durante la battaglia di Calatafimi fu creduto morto al punto che il compagno di lotta, anche lui garibaldino, Luigi Miceli ne pianse la perdita.
Ricoverato presso l'ospedale di Vita e rimessosi in breve tempo, raggiunse Palermo dove il 6 giugno stese la relazione sulla battaglia di Calatafimi del 15 maggio nella quale sottolineò il valore dei calabresi Antonio Plutino e Vincenzo Sprovieri e del Barone Francesco Stocco che ferito al braccio destro.
Ancora in fase di guarigione, combatté a Milazzo e a Capua e si segnalò per il suo valore. A Milazzo col suo battaglione organizzato nel convento della Gancia, dopo 10 ore di combattimento accanito si presentò sfiduciato a Garibaldi ducendogli: «Generale, abbiamo perduto ». Mentre parlava, una palla lo colpì nel fodero della sciabola, e Garibaldi, sorridendo, gli rispose: «Va', Don Ciccio, calamita del piombo, va' al tuo posto; fra un'ora avremo vinto ». A Capua venne nuovamente creduto morto, per un colpo di cannone caricato a mitraglia che gli uccise il cavallo, al punto che Ruggero Bonghi elaborò un elogio funebre, che fu letto nel teatro Nazionale di Napoli.
Dopo l'Unità d'Italia entrò nell'Esercito Regolare, con il grado di Tenente Colonnello. Nel 1862 diede le dimissioni per non marciare contro Garibaldi che voleva conquistare Roma. Nel 1866 partecipò alla III Guerra d'Indipendenza. Sprovieri, fu in Trentino e si guadagnò una medaglia d'argento e la nomina di Ufficiale dell'ordine militare di Savoia per essersi distinto a Condino e a Bezzecca. Nel 1874 con il grado di Tenente Colonnello fu collocato nella riserva e nel 1875 nella fanteria della Milizia mobile del distretto di Cosenza
Il 21 giugno 1878 sposò Carolina Gravoglio dalla quale nacque Beatrice che sposò un Laterza e nel 1935 fece dono al Governo dell'archivio paterno che è conservato ancora oggi presso il Museo del Risorgimento di Roma.
Nel 1881 entrò nella fanteria della Milizia mobile del distretto di Roma e tornato nella riserva nel 1888 fu promosso Colonnello.
Entrato in politica e fu eletto deputato per cinque legislature: la XII, la XIII, la XIV, la XV e la XVI, rappresentando per ben tre volte il collegio di Corigliano Calabro e per due volte la seconda circoscrizione di Cosenza. Non fu rieletto per la XVII legislatura ma il 20 novembre 1891 fu nominato Senatore.
In numerosi interventi alla Camera dei deputati denunciò lo stato di arretratezza e la sperequazione sociale nella provincia di Cosenza che fu da lui definita la Cenerentola della Calabria e dell'Italia; intervenne in particolare per quanto riguarda i collegamenti ferroviari e stradali nel Cosentino, inoltre lavorò alla definizione degli interventi per il soccorso in Calabria dopo il terremoto di fine Ottocento che devastò il Cosentino.
A seguito di un attacco d'influenza degenerato in broncopolmonite si spense a 73 anni. Poco prima di morire aveva inviato al senatore Saracco, presidente del Senato del Regno, una lettera di commiato dove chiedeva «che alla mia morte non mi sia fatta alcuna commemorazione nel Senato, né si devono inviare condoglianze alla mia famiglia. Muoio tranquillo perché ho amato sinceramente la Patria, senza interesse alcuno. I miei ringraziamenti e la saluto ».
Riposa nel cimitero del Verano a Roma. La città di Acri gli ha intitolato una via.
In vita fu insignito delle seguenti onorificenze: Cavaliere dell'Ordine militare di Savoia, Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia, Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Si ricordano anche due medaglie d'argento al valore militare e la medaglia di bronzo al valore militare. (Fabio Arichetta) © ICSAIC 2020
Scritti
- Discorso pronunciato da Francesco Sprovieri sulla discussione del disegno di legge per la costruzione di strade nazionali e provinciali tornata dell'11 dicembre 1888, Tipografia della Camera dei Deputati (Stabilimenti del Fibreno), Roma 1888.
- Ricordi politici e militari, Tipografia delle mantellate, Roma 1894.
Nota bibliografia
- Il colonnello Francesco Sprovieri, Tip. Patitucci, Castrovillari 1882, ad indicem.
- urelio Romeo, Antonio Cimino, Nicola Palermo, il Colonnello Sprovieri, Francesco Calfapetra, Luigi Zuppetta, Demetrio Salazaro, il due settembre 1847, Aspromonte, Stab. Tip. Ditta Luigi Ceruso fu Gius., Reggio Calabria 1895, ad indicem.
- Emilia Morelli, L'archivio di Francesco Sprovieri, Libreria dello Stato, Roma 1938, ad indicem.
- Emilia Morelli, L'archivio di Francesco Sprovieri «Rassegna storica del Risorgimento », XXV, 7, luglio 1938, pp. 980-981.
- Cesare Minicucci, I calabresi dei Mille di Marsala: i fratelli Francesco e Vincenzo Sprovieri di Acri. Centenario garibaldino 1860-1960, «Cronaca di Calabria », 7 febbraio 1960, pp. 3-4.
- Pietro Camardella, I Calabresi della spedizione dei Mille, Accademia cosentina, Cosenza 1976, pp. 85 e ss.
- Angela Picca, Garibaldini calabresi. I fratelli Sprovieri Vincenzo (Acri 1823-1895) e Francesco (Acri 1826 - Roma 1900, «Apollinea », 19, 4, luglio-agosto 2015, p. 24 e ss.
- Luigi Falcone e Antonello Savaglio, Il contributo della famiglia Sprovieri di Acri, Editrice Ermes, Potenza 2015, pp.75 e ss.
Nota archivistica
- Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano in Roma. Fondo Sprovieri.