Domenico Tripepi [Reggio Calabria, 14 febbraio 1889 - 26 ottobre 1962]
Domenico Luigi Vittorio - questo il suo nome completo allo Stato Civile - nasce da Demetrio e Angiola Palumbo, ultimo esponente di una vera e propria dinastia reggina di giuristi e politici di antico e consolidato lignaggio. La famiglia, infatti, era fra le più potenti di Reggio Calabria. Un suo prozio, l'avvocato Giuseppe Tripepi, aveva preso parte sia ai moti di Reggio e nel distretto di Gerace del 1847, sia a quelli dell'anno successivo, per i quali fu condannato a 27 anni di ferri e, liberato nel 1859, dopo l'impresa dei Mille, fu nominato giudice della Commissione militare istituita a Reggio da Garibaldi.
Il nonno, anch'egli di nome Giuseppe, era l'amministratore dei beni della famiglia, un latifondista con estese proprietà e interessi nell'intera area reggina, fino ai territori aspromontani di Sant'Eufemia. Il padre e due suoi zii, Francesco e Domenico, tutti avvocati, avevano ricoperto nel tempo, sia la carica di sindaco di Reggio sia quella di deputato.
Laureatosi in giurisprudenza, come gli zii e lo stesso padre, entra anch'egli giovanissimo in politica e raccoglie l'eredità familiare, riuscendo a farsi eleggere prima consigliere provinciale a soli 25 anni (1914), poi, dopo l'esperienza in prima linea nella Grande Guerra, deputato nella XXVI legislatura (1921), nella lista di ex combattenti, di orientamento democratico-popolare. Viene poi rieletto anche nella successiva XXVII legislatura (1924) insieme con Giuseppe Albanese nella lista di opposizione della Democrazia Sociale, sembra con l'appoggio di Michelino Campolo, capo bastone della malavita reggina, mafioso d'ordine contrapposto alla nuova mafia degli interessi. Oppositore, a ogni modo, del regime fascista, la sera del 31 dicembre 1924 è a piazza Italia ad arringare la folla festante dopo che il quotidiano «Corriere di Calabria » ha pubblicato, sia pure in forma dubitativa, la notizia delle dimissioni di Mussolini a seguito delle indiscrezioni emerse sull'assassinio dell'on. Giacomo Matteotti. Purtroppo la notizia si rivelerà infondata e Reggio sarà per questo «messa in castigo », come titolerà il battagliero periodico dei popolari, subito sequestrato.
Per forza di cose Tripepi entra dunque in contrasto con il regime fascista e fa parte del gruppo degli Aventiniani, venendo poi dichiarato decaduto nella seduta della Camera dei deputati del 9 novembre 1926. Sulla natura di questa sua opposizione al fascismo, però, vi sono pareri discordanti: secondo alcuni scritti recenti, la sua popolarità è soprattutto frutto di rapporti poco chiari con la malavita organizzata reggina, e, fra le righe, si adombra l'ipotesi che quella opposizione non sia stata altro che la "naturale" conseguenza di una presunta ferma avversione del regime verso la mafia; per Cingari, invece, liberali e democratico-sociali furono sostanzialmente acquiescenti verso il fascismo. Se la posizione di Cingari non tiene conto dell'esposizione di Tripepi con il comizio sopra citato e, come afferma Francesco Spezzano, «fa di tutta l'erba un fascio », le accuse di collusione con ambienti criminali andrebbero forse più precisamente documentate.
Nonostante l'estromissione forzata dalla scena politica nazionale, comunque, il radicamento di Tripepi nel tessuto sociale ed economico della città della Stretto resta sempre forte e l'ex deputato non rimane ai margini della vita reggina, sia in virtù del successo nella professione legale, con annessa vastissima clientela, che della costante presenza in posizioni di vertice in istituzioni pubbliche e private, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1937, infatti, è Presidente della Sacim (Soc. Anonima calabrese industrie minerarie) di Reggio Calabria (cfr. G.U. Regno Italia 1937, p. 2890). Per conto di questa Società già nel 1928 gli era stata accolta una «Istanza per ricerche di scisti bituminosi un territorio di Bova » (Rel. Servizio Minerario 1928, Ministero delle Corporazioni, Roma, 1930, p. CCCIII).
Con la caduta del fascismo, egli rientra immediatamente nell'orbita politica nazionale e il 28-29 gennaio 1944 partecipa al Congresso di Bari, la prima libera assemblea dell'Italia e dell'Europa liberata, per conto della formazione politica Democrazia e Lavoro. Nel 1945 viene quindi nominato consultore nazionale del Partito Democratico del Lavoro e, successivamente, è eletto Presidente del Comitato di Concentrazione Antifascista. Deputato nell'Assemblea Costituente, nella circoscrizione calabrese, per la lista Unione Democratica Nazionale. Per insanabili contrasti interni al partito, però, presto lascia l'Udn ed entra nel Fronte dell'Uomo Qualunque. Fa parte, quindi, senza incertezze del blocco localistico del 1947-50 nella battaglia per Reggio capoluogo di Regione.
Il suo mandato parlamentare di deputato ha termine il 31 gennaio 1948, in coincidenza con la fine della legislatura Costituente. Il 18 aprile dello stesso anno è nominato presidente della Deputazione provinciale di Reggio Calabria e il mese successivo viene proclamato senatore di diritto, militando nel gruppo liberale, che lascia il 26 maggio 1952 per passare al gruppo misto. In quella legislatura è membro dell'8 ª Commissione permanente (Agricoltura e Alimentazione). Nella successiva legislatura, il 7 giugno 1953 viene nuovamente eletto senatore, stavolta nelle file del Partito Nazionale Monarchico, del quale viene nominato vicepresidente, carica che ricoprirà dal 25 giugno 1953 fino al 23 settembre 1957, quando, ancora una volta, abbandona il Partito in cui era stato eletto e si iscrive al gruppo misto (dal 24 settembre 1957 fino al termine della legislatura, l'11 giugno 1958).
In questa legislatura è inserito in diverse commissioni: dal 25 giugno 1953 all'11 giugno 1958 è membro della Giunta per il regolamento; dal 21 luglio 1953 al 27 luglio 1953 è nella 8 ª Commissione permanente (Agricoltura e Alimentazione), di cui assume la vicepresidenza dal 28 luglio 1953 all'11 giugno 1958; dal 18 novembre 1953 al 31 dicembre 1953 è membro della Commissione speciale per l'esame del disegno di legge recante provvidenze per le zone colpite dalle alluvioni in Calabria (n. 156); infine, dal 16 febbraio 1955 al 13 dicembre 1955, fa parte della Commissione speciale per l'esame del disegno di legge concernente provvedimenti straordinari per la Calabria (n. 947), assieme a numerosi altri senatori calabresi e a Umberto Zanotti Bianco.
Contemporaneamente, sul fronte locale, è presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Reggio Calabria e presidente della Banca popolare di Reggio Calabria, con sede unica nella stessa Città dello Stretto.
Purtroppo, dell'attività politica di Domenico Tripepi, al pari di quella degli zii e del padre, non è rimasta traccia documentale e/o archivistica.
Riguardo l'attività parlamentare nel periodo della Costituente, gli Atti parlamentari riportano un suo unico intervento, peraltro non funzionale ai lavori della Costituente, ma contenente da una parte un plauso al governo De Gasperi per la creazione del ministero del Bilancio (affidato ad Einaudi) e dall'altra forti critiche su almeno quattro punti: scarsa attenzione al problema della diffusione della tubercolosi, all'ordine pubblico, al trattamento economico dei magistrati e, soprattutto, ai problemi strutturali del Sud in generale e della Calabria in particolare. Successivamente, sia da deputato che da senatore, Tripepi si distingue quasi esclusivamente per iniziative a favore della sua terra d'origine, o aventi a oggetto provvedimenti che la riguardassero.
Muore nella sua Reggiso all'età di 73 anni. (Giuseppe Macrì) © ICSAIC 2021 - 4
Nota bibliografica
- Atti Parlamentari, Assemblea Costituente, seduta n. 146 dell'11 giugno 1946, pp. 4656-4661;
- Giuseppe Marcianò, I giornali della speranza. La rinascita della stampa «libera » a Reggio Calabria (1943), «Rivista Calabrese di Storia del '900 », 2, 2013, pp. 205-226.
- Fabio Truzzolillo, Fascismo e criminalità organizzata in Calabria, Tesi di Dottorato in Storia Contemporanea, Università di Pisa, 23 ottobre 2014, pp. 79-80;
- Giuseppe Macrì, Domenico Tripepi, in Vittorio Cappelli e Paolo Palma (a cura di), I costituenti calabresi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2020, pp. 245-248.