Giuseppe Troccoli [Cassano allo Jonio (Cosenza), 29 ottobre 1901 - Firenze, 29 luglio 1962]
Nacque a Lauropoli, frazione di Cassano da famiglia di modeste condizioni economiche. La madre, Clementina Cersosimo, era una semplice casalinga, il padre, Luigi un validissimo insegnante elementare, fornito di un'ampia cultura classica e scientifica che gli permise di istruire lui stesso il figlio, mandandolo a sostenere da privatista gli esami di maturità al Liceo Classico «B. Telesio» di Cosenza, dove conseguì la licenza liceale col massimo dei voti. Fin da giovanissimo, manifestò grande interesse per la poesia e iniziò a scrivere i primi carmi, tra cui Il vate d'Italia: Gabriele D'Annunzio; Il Tempio; Sibari; Dux; Rex; Lo zoppo d'Italia: Enrico Toti e altri.
Si iscrisse all'Università di Napoli, ma non poté frequentare per la scarsezza di mezzi economici: il padre era solo a lavorare, con uno stipendio mensile di 500 lire, e altri tre figli minori da mantenere.
Nel 1920 lo troviamo a Ferrara col semplice grado di caporale in un reggimento di artiglieria. Frank Rizzo, suo amico degli anni giovanili, espatriato in America nel 1924, anche lui insegnante, commemorandolo in un convegno tenutosi a Lauropoli nel 1974, ricordava che a Ferrara Troccoli «si fece amare, conoscere e stimare dai suoi superiori, tanto che gli dettero un posticino, solo per lui, per dormire e studiare nel magazzino di sussistenza». Nella città emiliana pubblicò il carme «Italo Balbo», in cui egli vedeva «lo spirito incarnato di un eroe antico, sceso in Italia per salvarla dalla rovina in cui giornalmente sprofondava con le inosservanze delle leggi, scioperi continui, sabotaggi, occupazioni di fabbriche, ecc…» (Rizzo). Questa sua «fiducia» nel fascismo come risolutore di tutti i problemi dell'Italia non doveva durare a lungo. In fondo egli non aveva mai dimenticato i suoi ideali di libertà e di democrazia e, quando si rese conto che essi venivano calpestati dalla dittatura fascista, prese le distanze dal regime e ripudiò i carmi giovanili inneggianti all'avvento del fascismo e ai suoi «personaggi" di primo piano, come il duce e Balbo.
Da allora si chiuse in un riservato silenzio, dedicandosi esclusivamente ai suoi studi letterari. Terminato il servizio militare, si trasferì a Napoli dove proseguì gli studi universitari, sostenendosi col lavoro di istitutore presso il Convitto «Ludovico Ariosto». Negli anni del suo soggiorno napoletano, ebbe modo di stabilire contatti e avere frequentazione con Benedetto Croce del quale seguiva con interesse gli studi e le pubblicazioni di estetica.
Nel 1924 fu colpito da un grande dolore per la perdita del padre, al quale era molto legato e che gli aveva fatto da «maestro" nel suo percorso di formazione negli studi umanistici. Nel 1925 conseguì a Napoli la laurea in Lettere classiche e trovò immediatamente occupazione come supplente nel Ginnasio di San Demetrio Corone. Nel 1926 si trasferì a Castrovillari dove insegnò al Ginnasio per due anni. Lì incontrò la compagna della sua vita, Iole Battaglia, dalla quale ebbe due figli: Clementina (Titty) e Luigi. Nel 1928 gli morì la madre, a Trebisacce.
Una volta conseguita l'abilitazione, passò a insegnare al Ginnasio di Taranto. Dopo gli anni trascorsi nella città pugliese, vinse il concorso a cattedra per l'insegnamento di italiano e latino nei licei e si trasferì con tutta la famiglia a Firenze (1937), dove fu docente nel Liceo «Galileo Galilei», guadagnandosi la stima e l'affetto dei suoi allievi, affascinati dalla sua preparazione e dalla sua «versatilità prodigiosa che gli consentiva di passare da una tragedia greca ad un'ode di Orazio, o ad un canto di Leopardi o ai pensieri di Leonardo da Vinci o alla tragedie di Shakespeare» (Rizzo). I suoi studenti, oltre ad ascoltare la sue lezioni, leggevano con interesse i numerosi articoli che egli andava pubblicando in varie riviste letterarie.
A Firenze, intrattenne fecondi rapporti culturali con i maggiori intellettuali del periodo, che lo tenevano in notevole considerazione, da Attilio Momigliano a Luigi Russo, da Giorgio La Pira a Gaetano Salvemini. Conobbe e frequentò anche il critico Francesco Flora e i poeti Diego Valeri e Marino Moretti. Presiedette, dopo Giovanni Papini, la locale «Camera dei poeti». Fu membro di molti sodalizi culturali nazionali. Nel 1961 il Consiglio dei Ministri gli conferì il Premio alla Cultura, a conferma dei vari riconoscimenti riservata dalla critica letteraria alla sua opera.
Saggista, critico letterario, poeta, narratore, drammaturgo, autore di commenti di opere letterarie e di testi per le scuole, ha lasciato, nei suoi numerosi scritti, una ricca testimonianza dei suoi molteplici interessi. Per Vincenzo Napolillo, fu «poeta dai sentimenti profondi, dalla voce robusta e autentica, dall'ispirazione jonica, che, come ha precisato il suo collega, poeta ed amico Giuseppe Selvaggi, è orfismo della parola, nel senso di un mondo di compiuta armonia, duttile finitura di visione-vita, evidenza plastica di dati morali e storici».
Non ha mai reciso il cordone ombelicale che lo legava a Lauropoli, che per lui rappresentava «qualcosa di più di una pur importante fonte d'ispirazione lirica e narrativa» (Rango). Con la Calabria egli ebbe sempre un dolce rapporto, testimoniato, tra l'altro, dalla corrispondenza tenuta col suo amico e compaesano Giuseppe Selvaggi. Tra i due intellettuali e poeti, entrambi cassanesi, ci fu sempre un dialogo aperto. In un articolo apparso su «Il Tempo» del 28 agosto 1951, Selvaggi, recensendo il romanzo Lauropoli, pubblicato proprio quell'anno a Firenze, e soffermandosi sui suoi personaggi, scrive che «tutte queste figure sono la Calabria, è fatta così la Calabria: un ammasso di figure umane, contorte dalla miseria, dalla superstizione, dalla vanità dei piccoli casati, da dolore accumulato in secoli di rinunzie, contorte dalla necessità di andare lontano». Scrive Carlo Rango che Lauropoli è una silloge di racconti che danno l'impressione di un romanzo «dallo stile che fa pensare a Verga, ma non c'è ombra d'imitazione», come ebbe a rilevare anche il grande critico Attilio Momigliano. Altra opera in prosa molto significativa di Troccoli è La piana illuminata, edita a Firenze nel 1962. «La trama, sottilmente costruita, riguarda una zona della Calabria remota e solitaria, dove la vita è dura e sofferta e l'ambiente periferico è emarginato dai centri e dai nuovi scambi culturali. La condizione umana pare vicina a quella mitica delle Langhe di Pavese" (Napolillo), anche se qui, gli incontri, i personaggi non hanno valore metaforico, e lo scrittore non intende trasformare la realtà sociale, ma soltanto trasfigurarla in aura di poesia. Troccoli ha lasciato anche una ricca produzione poetica, che va da I carmi della gloria e del dolore (1936) a L'ombra che nella mente passa (1947), da La gioia del canto (1950) a Il sogno della Medusa (1951), ad A bocca chiusa (1961). Morì a Firenze il 29 luglio 1962. Lauropoli, suo luogo di nascita, gli dedicò nel 1965 un busto all'ingresso del paese. E lo ricorda con una strada, il locale Istituto Comprensivo e un Premio letterario e giornalistico, nel 2021 giunto alla XXV edizione, che portano il suo nome. (Franco Liguori) © ICSAIC 2021 - 6
Le opere principali
- Brandelli d'anima (poesie), Edizioni «La Vedetta», Castrovillari 1930;
- Dux (il carme del nuovissimo nocchiere), Ed. A. Rondinella, 1930;
- Tormento, Edizioni «La Vedetta», Castrovillari 1931;
- Il Decameron di Giovanni Boccaccio, Edizioni «La Prora», Milano 1938;
- I carmi della gioia e del dolore, Edizioni Le Monnier, Firenze 1940;
- Saggi danteschi, Edizioni Le Monnier, Firenze 1941;
- Giovanni Verga. Studio critico, Edizioni G. Barbèra, Firenze 1946;
- L'ombra che nella mente passa, Edizioni Vallecchi, Firenze 1947;
- Il Purgatorio dantesco, Ed. La Giuntina, Firenze 1951;
- Lettera ad Aldo, Edizioni D'Anna, Firenze 1956;
- Ugo Foscolo, liriche e prose, Edizioni Vallecchi, Firenze 1958;
- Lauropoli, Macchia, Roma 1951;
- La piana illuminata, Ed. Juglar, Firenze 1962.
Nota bibliografica
- Giuseppe Selvaggi, Lauropoli di Giuseppe Troccoli, in «La vedetta », 30 novembre 1951;
- Andrea Coscarelli, Il teatro di Giuseppe Troccoli, in «Gazzetta del Sud », 21 maggio 1957;
- Mario De Gaudio, Un busto a Troccoli, in «Il Tempo », 28 aprile 1965;
- Mario De Gaudio, A Giuseppe Troccoli cantore della Piana, Mit, Cosenza 1965;
- Domenico Zappone, Calabria Nostra, Bietti, Milano 1969, pp. 27-31;
- Francesco Pennini, A Peppino Troccoli, in «Cronaca di Calabria», 2 giugno 1976;
- Martino Zuccaro, Giuseppe Troccoli il cantore della Piana. Antologia critica, Fasano Cosenza 1976;
- Martino Zuccaro, Il viaggio letterario di Giuseppe Troccoli tra mito e realtà, Ed. «Prospettive Meridionali», Lauropoli 1988;
- Vincenzo Napolillo, Giuseppe Troccoli scrittore, in «Calabria letteraria », XLIV, 1-2-3, 1996, pp. 104-106;
- Pierfranco Bruni, Sulle orme del mito. Saggio su G. Troccoli, Ed. Prometeo, Castrovillari 1997;
- Carlo Rango, Giovanni Spedicati, Momenti e protagonisti della cultura del Novecento, in Fulvio Mazza (a cura di), Sibari, Cassano allo Ionio. Storia Cultura Economia Rubbettino, Soveria Mannelli 2011, pp. 296-298
- Carlo Forace, Appunti e riflessioni sull'opera di Giuseppe Troccoli, Ed. «La Mongolfiera», Doria di Cassano Jonio 2018