Dal nostro socio avv. Vincenzo Scirchio riceviamo questa articolata riflessione storico-politica, che volentieri pubblichiamo come contributo al dibattito sul 25 Aprile, in relazione a vari episodi della recente cronaca politica.
Partiamo da alcuni recenti e inquietanti episodi.
Il primo atto dell’attuale governo Meloni, solo pochi giorni dopo l’insediamento, è il cosiddetto decreto “antirave”, emanato con il pretesto di impedire i “rave party” previa occupazione non autorizzata di luoghi pubblici o privati. Nella sua prima stesura il decreto non menzionava i “rave party” ma si riferiva genericamente a qualsiasi raduno non autorizzato con evidente gravissima compressione del diritto di riunione e di opinione. La reazione della politica e della pubblica opinione fu così energica da convincere il governo, e segnatamente il ministro dell’Interno Piantedosi, a modificare il testo per escludere qualsiasi interpretazione troppo estensiva.
All’inaugurazione della stagione operistica del Teatro alla Scala di Milano (7 dicembre 2023), presente il mai pentito fascista e attuale Presidente del Senato Ignazio La Russa, il loggionista Marco Vizzardelli ha gridato “Viva l’Italia antifascista!”. È stato subito individuato e identificato da alcuni ufficiali della Digos, la polizia politica, pur non avendo commesso, per ammissione degli stessi poliziotti, alcun reato.
Lo stesso giorno a Roma davanti al palazzo di Montecitorio era in corso una manifestazione a sostegno di un progetto di legge sulla legalizzazione della cannabis. Tre manifestanti hanno mostrato dei cartelli, peraltro di molto ridotte dimensioni. Sono intervenuti otto carabinieri, si sono appropriati dei cartelli e li hanno sequestrati. Anche gli altri manifestanti sono stati identificati, compreso un deputato che vi partecipava. Anche in questo caso nessun reato era stato commesso.
Ancora a Milano il 19 febbraio 2024 un gruppo di persone hanno manifestato contro Putin dopo la morte, per probabile assassinio, del dissidente Navalny e sono stati immediatamente identificati dai poliziotti presenti.
Il 23 febbraio 2024 a Pisa un gruppo di studenti, alcuni dei quali minorenni, manifestavano a favore della Palestina. Sono stati bloccati dalla polizia e manganellati a sangue. Alcuni manifestanti sono stati ricoverati in reparti pediatrici. Qualcosa di simile è accaduto nelle stesse ore a Firenze. È vero che i cortei non erano autorizzati, ma non ci si può non chiedere se la mancanza di autorizzazione poteva giustificare tanta violenza.
Il 7 gennaio 2024 alcune centinaia di nazifascisti si sono radunati a Roma in via Acca Larentia per commemorare, come avviene ogni anno, l’uccisione di tre giovani missini, avvenuta nel 1978. I saluti al duce e le braccia tese nel saluto romano si sono sprecati, ma nessuno è stato identificato e la polizia si è tenuta a debita distanza, nonostante il divieto imposto dalla nostra carta costituzionale di ricostituire il partito fascista “sotto qualsiasi forma”. Ben due leggi dello Stato, la legge Scelba del 1952 e la legge Mancino del 1993, ribadiscono il divieto e stabiliscono le pene in caso di violazione. Ma evidentemente secondo le forze di polizia i manifestanti di Milano, Roma, Pisa e Firenze non godono della stessa immunità che invece viene riconosciuta ai nazifascisti.
Il 21 aprile 2024 lo scrittore Antonio Scurati avrebbe dovuto leggere sulla terza rete della RAI un monologo sulla Resistenza e sull’antifascismo, ma un solerte dirigente della televisione pubblica ha bloccato all’ultimo momento la trasmissione con la puerile scusa che il compenso già concordato era troppo oneroso. In realtà, s’è trattato di una vera e propria censura perché il monologo conteneva critiche e accuse di neofascismo rivolte all’attuale governo presieduto da Giorgia Meloni.
Un secolo fa per le strade e le piazze italiane accadevano fatti analoghi, con la differenza che allora i manganellatori erano gli squadristi fascisti e la polizia si limitava a prendere appunti e a godersi lo spettacolo.
Se qualcuno teme la riedizione del ventennio fascista in Italia, oggi governata da ex fascisti mai pentiti e dai loro complici, può tranquillizzarsi: non è possibile. Non sussistono le condizioni storiche, politiche e sociali che nel primo dopoguerra hanno reso possibile l’ascesa al potere di Benito Mussolini e la dittatura fascista.
Ma il Ventennio fascista mussoliniano e il fascismo non sono inseparabili: il primo è irripetibile, il secondo non lo è. Lo dimostra la storia italiana, e non solo italiana, dell’ultimo trentennio. Personaggi come Trump, Putin, Orban, Meloni, Salvini, La Russa e simili, cioè fascisti a volte solo di nome ma sempre di fatto, non sono casi isolati né fenomeni da baraccone né incidenti di percorso.
Per limitarci al caso Italia, fino ai primi anni ’90 del secolo scorso esisteva ed era colpevolmente tollerato un partito apertamente neofascista, il Movimento Sociale Italiano degli ex repubblichini Arturo Michelini e Giorgio Almirante e poi di Gianfranco Fini. Era un partito marginale, l’unico che per ovvi motivi non si riconosceva nella Costituzione del 1948 (anche se usufruiva dei diritti politici che la Costituzione antifascista gli accordava, proprio perché antifascista) e per questo escluso dai giochi governativi (fatta eccezione per la breve parentesi del governo Tambroni del marzo/luglio 1960 subito rientrata a furor di popolo).
La svolta avvenne nel 1992. Esattamente nel mese di febbraio, quando un magistrato della Procura di Milano, Antonio Di Pietro, colse il presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, il socialista e craxiano di ferro Mario Chiesa, nel momento in cui stava incassando una mazzetta da un imprenditore al quale avrebbe o già aveva appaltato alcuni servizi. Non era certamente il primo caso di corruzione che si perpetrava in Italia (e non fu neanche l’ultimo), ma scoperchiò il vaso di Pandora nel quale era rimasto fino ad allora nascosto e protetto un sistema di corruttela universalmente applicato dal quale i partiti dell’arco costituzionale traevano finanziamento e sostentamento, tutti ad eccezione del PCI i cui finanziamenti avevano diversa provenienza. Per inciso, oggi nessuno più ricorda che l’attuale ministro della Giustizia, Carlo Nordio, allora procuratore della Repubblica a Venezia, tentò per una decina di anni, quasi come contrappeso alla tangentopoli milanese, di incastrare i comunisti su presunti illegittimi finanziamenti provenienti dalle cooperative rosse. Spese tempo e denaro pubblico inutilmente: non cavò un ragno dal buco probabilmente perché nel buco non c’era alcun ragno da cavare. Sia chiaro, i magistrati milanesi del cosiddetto “pool mani pulite” in realtà non scoprirono nulla di nuovo. La corruzione era antica e già ampiamente nota non solo agli addetti. Le indagini milanesi, però, diedero rilevanza giuridica a un sistema criminale generalizzato che coinvolgeva tutto l’ordine politico del tempo guidato e accettato da dietro le quinte dai leader politici di tutti i partiti di governo e in particolare dal cosiddetto CAF, Craxi- Andreotti-Forlani.
Come è noto, il fenomeno denominato “tangentopoli” e la conseguente generale indignazione popolare (e per alcuni versi populista) provocò il crollo del sistema politico e partitico e la fine della cosiddetta “prima Repubblica” (Non ritengo corretto parlare di passaggio da una prima a una seconda Repubblica, perché una simile trasformazione istituzionale dovrebbe essere giustificata da una sensibile modificazione costituzionale, che non avvenne, non essendo sufficiente una sia pur radicale rivoluzione della politica e dei partiti, che invece avvenne. Ma, per quanto si dirà qui di seguito, l’avvento di una “seconda Repubblica” è minacciosamente all’orizzonte). Gli italiani salutarono con favore la fine di quel sistema evidentemente nella speranza di un generale rinnovamento morale della vita politica.
Invece, a scoperchiare un altro vaso di Pandora, venne Berlusconi.
Il quale aveva ampiamente partecipato, e da protagonista, alla grande abbuffata della “prima Repubblica”. Basta ricordare che le sue televisioni private sarebbero probabilmente fallite senza l’intervento di leggi e decreti promulgati a suo specifico favore. Per tacere della sua appartenenza alla famigerata e irregolare loggia massonica P2, il cui eversivo programma politico, dopo l’inutile e sanguinosa stagione delle stragi cui la loggia stessa non era estranea, fu proseguito e in parte attuato proprio da Berlusconi. Come vedremo, l’attuale governo sta ora tentando di portare l’opera a compimento.
Dopo i fatti del 1992 Berlusconi si trovò da un giorno all’altro senza protettori politici e fu messo davanti ad un bivio: o il fallimento (e probabilmente la galera) o il potere. Scelse, come era ovvio, la seconda alternativa e scese in campo. Visto che non c’era più nessuno disposto a fare leggi a suo favore, decise di farsele da solo. Lui vinse e l’Italia perse la grande occasione di diventare finalmente un Paese veramente libero, democratico e civile.
Berlusconi aveva promesso di rifondare la Nazione in nome della libertà e del liberalismo e molti gli credettero. Personalmente vado ancora orgoglioso di un fatto che mi capitò in quegli anni. Un mio vecchio amico aveva aperto nella mia città un circolo di Forza Italia, il partito fondato da Berlusconi, e, riconoscendomi una tradizione di famiglia di appartenenza al mondo liberale, mi chiese di iscrivermi al suo circolo, perché, mi disse, “abbiamo bisogno di liberali come te”. Lo ringraziai per la stima ma gli risposi che proprio perché ero un liberale non avrei mai potuto far parte di una formazione politica che di liberale aveva poco o niente. Purtroppo, la storia degli ultimi trent’anni mi ha dato ragione. Proprio come cent’anni fa molti liberali credettero in Mussolini, così molti liberali di quei primi anni ’90 credettero in Berlusconi. E finì come è finita, con un governo stracolmo di neofascisti.
Effettivamente Berlusconi rifondò la politica, ma l’attualità dimostra che fu una “reformatio in peius”. Berlusconi aprì le porte ai neofascisti di Gianfranco Fini (che per l’occasione cercò di indossare il vestito buono e si affrettò a trasformare il suo Movimento Sociale Italiano in Alleanza Nazionale) e ai neoceltici e separatisti della Valpadana (che invece, incorreggibili, restarono in canottiera). Un sintomo tanto grave quanto evidente della degenerazione della politica è rappresentato dalla personalizzazione dei partiti, a partire dalla loro nuova denominazione riportata nei simboli. Forza Italia era ed è, ancora dopo la sua morte, il partito di Berlusconi, non guidato da Berlusconi ma “di” Berlusconi, di sua proprietà. Analogamente Alleanza Nazionale era il partito “di” Fini e la Lega divenne il partito “di” Salvini, con tanto di cognome nelle bandiere e nei simboli. Fu un inarrestabile precipitare di male in peggio.
Da un corruttore della “prima Repubblica”, con gravi sospetti di mafiosità, non ci si poteva certo aspettare una qualche moralizzazione della vita pubblica. Infatti, gli italiani, la cui passione per le pratiche oneste non era e non è certamente la prima virtù, pensarono in maggioranza di poter vivere finalmente in un regime “veramente” liberale, nel senso che era finalmente arrivato il momento in cui ognuno poteva fare quel che gli pareva, senza lacci e legacci statali o morali. Era lecito costruire abusivamente. Era giusto e giustificato non pagare le tasse. I cittadini cui furono affidate funzioni pubbliche non sentirono più il dovere di adempierle con disciplina ed onore, come loro imposto dall’art. 54 della Costituzione. Ricordo un ministro dell’Interno di un governo Berlusconi, il leghista e separatista Roberto Maroni, che saltellava su un palco insieme ai colleghi di partito inneggiando all’indipendenza della Padania. Il ministro dell’Interno! Che solo per questo avrebbe dovuto essere destituito e arrestato.
Ma il liberalismo non aveva mai concepito una libertà senza limiti, senza vincoli e senza doveri.
Il ventennio berlusconiano terminò con un totale fallimento sotto tutti i punti di vista: politico, economico, morale, sociale, culturale. Ma il peggio venne dopo. Crollato elettoralmente il suo partito, Berlusconi fu costretto a cedere il comando ai suoi successori, alcuni dei quali se li era scelti proprio lui, altri si incunearono per reazione uguale ma non contraria. Per primi vennero i leghisti padani (che tentarono di apparire meno padani, ma non riuscirono ad apparire un po’ più italiani), poi sopraggiunse un’accozzaglia indistinta di personaggi privi di qualsiasi cultura politica (e spesso privi di cultura “tout court”), ma soprattutto privi di una minima idea che potesse orientarli ideologicamente, a parte la comune intenzione di rompere il Parlamento come si apre una scatoletta di tonno. E infine, dulcis in fundo, i neofascisti, i quali per l’occasione hanno chiesto ai loro amici paramilitari squadristi di mettersi da parte, almeno per il momento.
È molto probabile che nei prossimi anni non vedremo troppi manganelli usati da squadristi come arma per la conquista del potere, anche perché i neofascisti, grazie a Berlusconi, il potere l’hanno conquistato senza necessità di farne uso.
I metodi sono diversi, ma la sostanza non è cambiata: l’opera di demolizione della Costituzione della Repubblica per entrare, questa volta davvero, nella seconda Repubblica, è ben avviata. Andiamo, per esempio, a rileggere l’art. 3 della nostra legge fondamentale, il principio di pari dignità e di uguaglianza senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione e di condizioni personali e sociali. Il fascismo mussoliniano del Ventennio ha operato esattamente all’opposto, punto per punto, dei principi sanciti dall’art. 3 ed è proprio sotto questo aspetto, soprattutto sotto questo aspetto, che la nostra Costituzione è essenzialmente, fondamentalmente, integralmente antifascista. Per inciso, di recente il citato fascista mai pentito, Ignazio La Russa, presidente del Senato e seconda carica dello Stato, ebbe a dire che la nostra Costituzione non conteneva la parola “antifascismo”, dimostrando così non solo di non conoscerne la dodicesima disposizione finale, bensì più gravemente di non voler riconoscere e accettare quel che è palese e indubitabile, quel che traspare da ogni articolo e da ogni comma, cioè che essa è sostanzialmente antifascista dalla prima all’ultima parola. Il fascismo mussoliniano aveva relegato le donne in cucina e gli ebrei nei campi di concentramento, aveva zittito le minoranze linguistiche e la libera stampa, aveva fatto di una religione la religione di Stato, aveva emarginato i poveri, perseguitato gli omossessuali, escluso i disabili dalla vita sociale e civile. L’articolo 3 è la rivoluzione copernicana rispetto al passato fascista, è l’antitesi perfetta della dottrina fascista.
Ora, andiamo a dare uno sguardo agli indirizzi politici di questo governo di destra, guidato da quella Meloni che fino all’altro giorno si accompagnava volentieri e orgogliosamente alle squadre neonaziste che lordavano (e lordano) la capitale.
Il governo Meloni ha avviato, sotto la spinta di una falsa governabilità, l’iter legislativo per la radicale trasformazione della Repubblica da parlamentare a presidenziale. Si vuole, insomma, affidare il governo, cioè il potere esecutivo, al famoso “uomo solo al comando”, depotenziando il Parlamento (che per la verità ha saputo già depotenziarsi da solo) e riducendo le prerogative e le funzioni del Presidente della Repubblica. In Italia la democrazia, al contrario delle democrazie occidentali, francese, statunitense e britannica, è giovane e fragile, tanto che nell’ultimo secolo ha funzionato “a intermittenza”. L’uomo solo al comando, in Italia, poteva andare bene quando l’uomo era Fausto Coppi, ma è molto pericoloso quando si tratta di affidargli il governo. È accaduto con Mussolini e, in forma e modi diversi, può accadere anche oggi, soprattutto se il designato (o la designata) proviene da una tradizione fascista alla quale non ha mai rinunciato. A garantire la governabilità basterebbe una buona legge elettorale a base proporzionale con sbarramento adeguato, divieto di coalizioni e candidati non predestinati dai partiti. Ma ai neofascisti non basta: non vogliono governare, vogliono comandare con pieni poteri. E c’è di peggio. Si prospetta, invece, una legge elettorale con un premio di maggioranza generosissimo. Al primo partito (o coalizione) basterebbe prendere un voto in più rispetto al secondo per avere in Parlamento una rappresentanza del tutto incoerente rispetto al consenso ottenuto. La cosiddetta “legge Acerbo”, ossia la legge elettorale voluta da Mussolini e approvata nel 1923, in vigore per le elezioni dell’anno successivo, aprì definitivamente la strada alla dittatura fascista. Secondo questa legge la lista più votata a livello nazionale che avesse superato il 25% dei voti validi, avrebbe automaticamente ottenuto i 2/3 dei seggi della Camera dei deputati, eleggendo in blocco tutti i suoi candidati. Ora la Meloni, bramando l’eredità mussoliniana, ne vorrebbe una simile.
Questo governo ha avviato una riforma della Magistratura che mira, per fortuna senza ancora raggiungerlo, al controllo delle Procure della Repubblica tramite la separazione delle carriere dei magistrati giudicanti da quelli inquirenti. La figura del Procuratore della Repubblica inserito nel, o sottoposto al, potere esecutivo può funzionare nelle democrazie antiche, forti e consolidate, ma non in Italia. La saggezza dei nostri costituenti ha fatto un passo in avanti rispetto a tanti altri Paesi democratici: il Procuratore della Repubblica, nella funzione di Pubblico Ministero, è pienamente inserito nella magistratura, ha le stesse prerogative di indipendenza che spettano ai magistrati e, soprattutto, ha l’obbligo di esercitare l’azione penale (art. 112 Cost.), con esclusione di ogni sua discrezionalità al riguardo. È in corso un tentativo, per la verità risalente a precedenti governi, di introdurre un sistema di precedenze nella persecuzione di alcuni reati rispetto ad altri. Per superare l’oggettiva difficoltà delle Procure nel dare corso a tutte le notizie di reato, non si pensa di rafforzare la struttura e l’efficienza degli uffici inquirenti, ma più comodamente si vuole alleggerire il loro lavoro. Senonché non si tratta di un lavoro qualsiasi, ma dell’applicazione della legge penale in forza della quale tutti coloro che commettono un reato debbono essere assoggettati al processo e, se colpevoli, puniti. È un fondamentale corollario della proclamata, in ogni aula giudiziaria, uguaglianza di tutti dinnanzi alla legge. Siamo insomma di fronte al tentativo, tanto palese quanto incostituzionale, di obbligare i Procuratori della Repubblica a sottoporsi a istruzioni esterne alla magistratura. Se il processo di separazione della magistratura inquirente da quella giudicante dovesse essere portato a compimento, l’indipendenza dei giudici, garantita dalla Costituzione, sarebbe messa in serio pericolo, se non del tutto soppressa. Per il momento, non è previsto che i criteri di scelta dei reati da perseguire con preferenza siano affidati al potere esecutivo, ma un eventuale prossimo futuro regime presidenziale, specialmente se di stampo neofascista, non esiterebbe ad appropriarsi di una tale competenza. Anche sotto questo aspetto ci troveremmo di fatto di fronte ad un ritorno del regime fascista, sotto il quale i Procuratori del Re non erano certo liberi di perseguire indistintamente tutti coloro che si rendevano autori di un reato. Il controllo del regime sulla magistratura era pressoché totale. I trasferimenti, quando non le radiazioni, non erano all’ordine del giorno solo perché pochi magistrati avevano il coraggio di opporsi alle superiori volontà.
Per iniziativa di questo governo è in corso di attuazione la riforma del fisco. Ovviamente, anche in questo campo, in senso contrario alla Costituzione e segnatamente all’art. 53 che stabilisce due principi fondamentali in materia tributaria: il dovere di partecipare alla spesa pubblica secondo la capacità contributiva e il criterio di progressività della tassazione. La riforma fiscale in atto, per esempio attraverso la riduzione drastica degli scaglioni di reddito e l’introduzione del concordato preventivo, ma non solo con questi mezzi, è indirizzata nel senso diametralmente opposto al dettato costituzionale. Non ci sarà più solidarietà tra i ceti sociali, come emerge così chiaramente dall’art. 53. Robin Hood non ruberà più ai ricchi per dare ai poveri, ma impoverirà ancor più i poveri per arricchire i ricchi. Nel Ventennio fascista la struttura del regime tributario non era molto diversa.
In conclusione, siamo di fronte ad un continuo e sistematico tentativo di depotenziare la nostra Costituzione, di stravolgerne l’anima e lo spirito. Spesso ci vantiamo di avere la più bella Costituzione del mondo ed io, come cittadino italiano, me ne vanto. Non è la migliore possibile, ma è la Costituzione più avanzata che io conosca sotto il molteplice profilo dei principi di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, scaturiti dalla Rivoluzione Francese sui quali tuttora è fondata la vita civile e sociale dei popoli occidentali, popoli liberi e democratici. È la Costituzione in cui più che in ogni altra è attuato e armonizzato l’equilibrio dei tre poteri fondamentali dello Stato, secondo l’insegnamento ancora attualissimo di Charles-Louis de Secondat, barone di La Brede e di Montesquieu. È la Costituzione che, scritta da quella minoranza di italiani che si era resa protagonista della lotta di liberazione dalla dittatura fascista, non poteva essere più aperta verso tutte le istanze, umane, civili, economiche, sociali, culturali, di cittadini liberi e responsabili. È una Costituzione popolare per eccellenza ma non populista, perché la saggezza dei Padri e delle Madri costituenti non si è adeguata acriticamente a qualsiasi esigenza o aspettativa proveniente indistintamente dal popolo o dalle categorie sociali, ma è stata ed è tuttora, deve essere, la guida di tutto un popolo verso la libertà e la giustizia. Non è un pezzo di carta, bensì, come diceva Piero Calamandrei, è un programma civile da attuare giorno per giorno, cittadino per cittadino.
Le Costituzioni degli altri Paesi occidentali sono, come la nostra, ispirate ai principi illuministici della Rivoluzione Francese, ma, al contrario della nostra, sono nate in situazioni politiche fisiologiche. La nostra no. La nostra è nata dalla patologia fascista ed è stata dettata dalla necessità di superare radicalmente il precedente regime dittatoriale, al quale è diametralmente opposta, e di scongiurare un possibile ritorno del fascismo sotto ogni forma. Il fascismo è la negazione, più o meno apertamente manifestata, delle libertà fondamentali dei cittadini, dei diritti irrinunciabili dell’Uomo, dei doveri e della responsabilità personale di ciascuno. Il fascismo è negazione e oppressione, la nostra Costituzione è affermazione e liberazione. La nostra Costituzione, insomma, rappresenta la linea netta e definitiva di demarcazione che separa il passato fascista dal presente e dal futuro democratico. Ogni passo all’indietro comporta la perdita di una parte della libertà conquistata con il sacrificio di tanti eroi della Resistenza antifascista. A noi italiani di oggi non viene chiesto, per fortuna e grazie alla lotta partigiana, di lottare ancora contro una dittatura fascista in atto. Ci viene chiesto, come diceva Calamandrei, molto di meno: amare, rispettare e proteggere ogni giorno la libertà che la nostra Costituzione ci garantisce.
23 aprile 2024
Vincenzo Scirchio