Con il titolo “Don Luigi e gli Sturzo di Calabria”, il “Quotidiano del Sud” ha pubblicato un articolo del nostro presidente Paolo Palma sul centenario dell’appello del Partito Popolare Italiano, articolo che qui riproponiamo.
di Paolo Palma
Il 18 gennaio del 1919, cento anni fa, don Luigi Sturzo lanciò dalla sua stanza dell’albergo Santa Chiara, alle spalle del Pantheon, l’appello “a tutti gli uomini liberi e forti” e il programma politico in dodici punti, decisamente democratico, che segnavano la nascita del Partito Popolare Italiano. Luogo insolito una stanza d’albergo per la fondazione di un partito, ma quel giorno Sturzo era malato e invitò a fargli visita gli altri dieci componenti la Commissione provvisoria incaricata di redigere i documenti. Malgrado la sordina messa all’evento e la breve vita del nuovo partito (otto anni soltanto) con la nascita del PPI cambiava in profondità il corso della storia del movimento cattolico e italiana. Federico Chabod lo avrebbe addirittura definito “l’avvenimento più notevole della storia d’Italia del ventesimo secolo”.
Veniva affermato il concetto, ed era già questa una rivoluzione, dell’autonomia dei cattolici in politica (e quindi della aconfessionalità e laicità del partito), che preludeva a un altro sommovimento: l’abolizione del non expeditin vigore dal 1874, ossia il divieto per i cattolici italiani di partecipare alla vita politica e alle elezioni come forma di protesta per la presa di Roma, che aveva posto fine al potere temporale del Papa.
Per capire fino in fondo questa “rivoluzione” bisogna ricordare che l’istanza della autonomia politica dei cattolici era stata posta qualche lustro prima da don Romolo Murri, che aveva fondato la Democrazia Cristiana e la Lega Democratica Nazionale; ma per queste “pretese” autonomistiche egli era stato prima colpito dalla condanna di Leone XIII e successivamente, accomunato ai modernisti, era stato scomunicato da Pio X. Sturzo era amico e discepolo di Murri ma, più pragmatico del sacerdote marchigiano, aveva evitato d’impelagarsi nelle questioni dogmatiche, pur essendo partecipe della medesima temperie culturale modernista. Aveva poi avuto la fortuna di incrociare Benedetto XV, un pontefice di antiche simpatie murriane (e per questo sospettato molti anni prima di “modernismo sociale”!) che gli lasciò una notevole libertà di movimento ed egli, grato, avrebbe ricordato un giorno come “il piccolo Papa coraggioso”.
Con la nascita del PPI veniva messo nell’angolo (ma non debellato!) il clerico-moderatismo, che si era molto rafforzato negli ultimi anni con il sostegno di Pio X. Per contenere l’ascesa del movimento socialista papa Sarto non aveva esitato, fin dai primi anni del secolo, a sospendere il non expedit favorendo infine la stipula dell’ambiguo Patto Gentiloni nel 1912 e schierando la Chiesa su posizioni conservatrici. Il PPI di Sturzo adottò invece un programma sociale avanzato di tipo popolare-nazionale e con il PSI cominciò a dialogare, fino al punto che fu ipotizzata l’alleanza tra i due partiti; ma le opposizioni interne al mondo cattolico, il massimalismo socialista e l’ostilità del vecchio Giolitti verso il “pretuncolo intrigante”, fecero fallire ogni tentativo di una collaborazione che avrebbe potuto impedire l’avvento al potere di Mussolini: sulla carta PSI e PPI avevano 256 seggi su 508, la maggioranza assoluta della Camera dei Deputati.
Pur radicato soprattutto nel Nord Italia (la metà dei suoi 100 seggi furono conquistati tra Lombardia, Veneto e Piemonte), il PPI aveva come componente ideologica e programmatica fondamentale il meridionalismo, derivante soprattutto dall’impegno di Sturzo nelle lotte sociali dei contadini siciliani e nell’amministrazione del Comune di Caltagirone, di cui fu pro-sindaco per 15 anni. Anche la Calabria – l’Icsaic se ne occuperà nei prossimi mesi con la dovuta attenzione – ebbe i suoi “don Sturzo”: i cosentini don Carlo De Cardona e don Luigi Nicoletti e il catanzarese don Francesco Caporale, pionieri del cattolicesimo sociale e democratico. De Cardona aveva fatto parte, con Sturzo, della commissione per il Mezzogiorno della Unione Popolare, l’organismo istituito da Pio X dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi.
Alle elezioni del 1919 i risultati migliori per il PPI non vennero però dalle due province di più antica tradizione democratico-cristiana, ma dalla lista più moderata, notabilare, di Reggio Calabria che elesse due deputati (il marchese Nunziante di San Ferdinando e Cappelleri) mentre Cosenza e Catanzaro dovettero accontentarsi di uno ciascuna: Miceli Picardi e Anile.
La Calabria può forse essere considerata un caso emblematico della frattura tra l’ideologia del popolarismo e la mentalità clerico-moderata prevalente nella base del partito e nell’elettorato cattolico, che costituì il principale limite del PPI. Il nodo sarebbe affiorato quando il fascismo sferrò il suo attacco al nuovo partito. I clerico-moderati divennero clerico-fascisti; e don Sturzo dovette prendere la via di un lungo esilio.