Centenario della Grande Guerra e Brigata Catanzaro. Fabrizio Perri, attento ricercatore, se ne occupa in un bel libro sui caduti del suo paese, Marzi, dal titolo “I caduti marzesi nella Grande Guerra. Viaggi nei luoghi della memoria” (Comet Editor Press). Di seguito, per gentile concessione di Cristina Caputo, titolare della casa editrice, pubblichiamo un stralcio del volume, una sorta di reportage riguardante Santa Maria la Longa e i luoghi della rivolta e della decimazione della Brigata Catanzaro.
di Fabrizio Perri
Qui vicino c’è il Sacrario di Redipuglia. Voglio però visitarlo domani con calma. Oggi pomeriggio ho intenzione di recarmi nel comune di Santa Maria la Longa in provincia di Udine. Una località che non è direttamente legata ai caduti marzesi ma che riveste un’importanza fondamentale per rendermi conto, in parte, di quella che è stata l’altra faccia della guerra. La faccia nascosta, quella più impresentabile, quella che per decenni è stata coperta dalla retorica ufficiale. La faccia delle fucilazioni e quella ancora più cruenta delle decimazioni.
La coscrizione obbligatoria aveva dato vita ad un esercito che risentiva delle differenze culturali dovute ad un processo unitario che, dal punto di vista geografico e amministrativo, si era concluso da appena un cinquantennio. L’identità nazionale era ancora di la da venire e il giovane Stato italiano, per quanto si era potuto spendere, si portava dietro retaggi e ferite troppo recenti per sperare in un compiuto processo di unificazione nazionale Fu proprio la tragedia della Grande Guerra che, mettendo per la prima volta fianco a fianco culture di diversa provenienza, contribuì alla formazione di un’identità nazionale .
Fino ad allora i meridionali in particolare, guardavano all’America più che al freddo e lontano nord come destinazione per emigrare dai loro poveri villaggi e dai loro campi eccessivamente sfruttati. Dall’altra vi erano le popolazioni del Triveneto che in parte non capivano e non sentivano quella guerra. Che percepivano l’Esercito Regio come conquistatore e non come liberatore. Oltre centomila furono infatti i trentini e i giuliani che combatterono nell’esercito austro-ungarico.
All’inizio quindi, a parte alcune frange d’intellettuali che si fecero carico della propaganda interventista coadiuvata da un apparato retorico fondato su parole d’ordine come la guerra sola igiene del mondo dei Futuristi, la ridondante retorica del sangue del decadente visionario D’Annunzio, o della necessità della guerra rivoluzionaria di Corridoni e Mussolini, il resto degli italiani poco sentivano e capivano l’esigenza della guerra.
I comandi militari italiani erano quindi ossessionati dalla possibilità e dal timore che i soldati potessero disertare. Fu innanzitutto il Generalissimo Luigi Cadorna, comandante supremo delle forze armate italiane, ad imporre e incoraggiare, mediante circolari e dispacci, un clima di terrore e repressione che spesso sfociava nella pratica della fucilazione come esempio per il resto della truppa.
Nella prima circolare del 24 maggio 1915 egli enunciava il principio della ferrea disciplina che doveva regnare nell’esercito. Nella circolare riservata del primo novembre 1916, Cadorna sanciva ufficialmente il principio della decimazione: non c’è altro mezzo idoneo a reprimere reato collettivo che quello della immediata fucilazione dei maggiori responsabili, allorché l’accertamento dei responsabili non è possibile, rimane il diritto e il dovere ai comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte. Circolare fatta immediatamente propria dal Comandante la Terza Armata, il Generale Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta che scriveva: intendo che la disciplina regni sovrana fra le mie truppe, perciò ho approvato che nei reparti che sciaguratamente si macchiarono di grave onta, alcuni, colpevoli o non, fossero immediatamente passati per le armi.
Non solo la fucilazione per chi commetteva il reato di diserzione quindi, ma anche per chi aveva la sfortuna di trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato e di essere estratto a sorte nella ignobile pratica della decimazione.
Santa Maria la Longa. anche se non rappresentava uno dei principali campi di battaglia della Grande Guerra, fin dal 1915 venne individuata come base logistica della Terza Armata per l’acquartieramento di migliaia di soldati provenienti in gran parte dal sud. Lì venivano mandati a riposarsi nei baraccamenti o a curarsi negli ospedali da campo dopo le violente battaglie sul fronte dell’Isonzo.
La fine di giugno del 1917, dopo la sanguinosa Decima Battaglia dell’Isonzo, Santa Maria la Longa ospitava i fanti della Brigata Catanzaro. Si trattava di una brigata valorosa che aveva combattuto sui fronti più importanti e più pericolosi: nel settore di San Martino e San Michele del Carso, ad Oslavia, sull’Altopiano di Asiago e nel settore di Jamiano. Una brigata le cui gesta erano state glorificate, ma che aveva subito perdite altissime. I soldati della Catanzaro con i loro ben 229 giorni di permanenza in linea nel solo anno 1916, avevano la netta e fondata sensazione di essere uno dei reparti più sfruttati, per cui il malcontento già serpeggiava da tempo.
Se a tutto ciò si aggiunge la sospensione delle licenze, il fatto che alla Catanzaro era stato in precedenza promesso, oltre a un lungo periodo di riposo, il trasferimento in un tratto di fronte meno sanguinoso, e l’arrivo dell’ordine di ritornare ancora una volta in prima linea sul Carso, si può capire come l’insieme di queste situazioni diedero vita ad una pericolosa miscela esplosiva.
La rivolta si manifestò in tutta la sua violenza nella notte del 15 luglio 1917 con tumulti e sparatorie e proseguì nelle prime ore del mattino del 16. Il bilancio fu di alcuni ufficiali morti e numerosi feriti fra gli stessi ufficiali e gli uomini di truppa.
Sedata la rivolta, le esecuzioni sommarie – scrivono Pluviano e Guerrini – furono eseguite a piccoli gruppi nelle prime ore del mattino del 16, dalle 6,30 alle 8,30. La mattanza ebbe luogo contro il muro del cimitero di Santa Maria la Longa e vi presenziarono due compagnie in armi, una per reggimento. …Alla popolazione civile non fu permesso assistere alla fucilazione, ma si dice che alcuni ragazzi, nascosti dal granoturco che arrivava fino al limite del cimitero, assistettero alla tragedia e che uno dei soldati, ferito, si fosse trascinato nel campo ma, raggiunto da un ufficiale, fosse finito con un colpo di pistola. Furono fucilati 28 soldati, 16 già arrestati in flagranza e gli altri 12 furono scelti col metodo della decimazione fra i 124 soldati ammutinatisi e appartenenti alla 6 compagnia del 142 ° Reggimento Fanteria della Brigata Catanzaro.
Arriviamo a Santa Maria la Longa verso le due di questo assolato pomeriggio. Passata la stazione ferroviaria ed il passaggio a livello subito davanti a noi c’è il Municipio. Nella piazzetta antistante c’è un monumento commemorativo della Grande Guerra, alcune targhe e una stele. Mi guardo attorno nella piazza deserta per vedere se c’è qualcosa che ricordi il sacrificio dei fanti della Brigata Catanzaro. Niente.
Di fianco alla stazione c’è un monumento dedicato ad Ungaretti che a Santa Maria la Longa scrisse alcune delle sue più belle poesie.
Faccio alcune fotografie e, dato che il municipio è ancora aperto, salgo al primo piano per chiedere informazioni sui luoghi e sulla fucilazione dei fanti della Brigata Catanzaro. Un’impiegata gentilmente mi dice che in realtà c’è poco che ricordi quell’episodio. Mi fornisce delle pubblicazioni sull’argomento. Mi indica la stele commemorativa della Brigata Catanzaro eretta nel 2011 e mi dice che un’altra piccola targa ricordo è stata affissa nel 2014 sul muro di cinta del cimitero del paese. Gli dico che la stele ricordo l’avevo già vista e fotografata ma non avevo notato niente che richiamasse l’episodio dei fanti della Catanzaro. L’impiegata mi fa notare che la scritta si trova a terra ai piedi della stele. Usciamo fuori e mi indica il punto esatto. In effetti la scritta in basso mi era sfuggita, messa li a terra, dove lo sguardo non cade, come se, a quasi cento anni di distanza il ricordo di quell’evento, fosse ancora qualcosa di vergognoso, da far notare il meno possibile.
L’impiegata mi indica come arrivare al cimitero che dista circa un chilometro. La saluto, lascio la mia e-mail e il mio indirizzo e mi reco sul posto.
Il cimitero di Santa Maria la Longa, come molti cimiteri è adornato dal verde dei cipressi. In questi giorni di fine giugno però, immerso nella quiete del luogo e del soleggiato pomeriggio, quello che salta immediatamente agli occhi è il mare giallo dei girasoli. Una distesa di giallo che stringe il piccolo cimitero di Santa Maria la Longa in una morsa di fiori, quasi a volerne salvaguardare l’intimità .
Sulla facciata principale, lungo il muro di cinta, noto la piccola targa che ricorda i fanti della Catanzaro. La sensazione che ho è la stessa della stele sulla piazza. Niente di evidente, solo una piccola targa posta li quasi per dovere.
Mi soffermo qualche minuto, quasi in raccoglimento. Un groviglio di pensieri si affacciano alla mia mente. Penso alla tragedia vissuta da quei fanti. A quei dodici di loro sui quali la morte si era abbattuta per caso. Ai loro visi contratti e spaventati davanti al plotone d’esecuzione, alla disperazione con la quale urlavano la loro innocenza.
Lascio Santa Maria la Longa portandomi dietro un senso di vuoto e di tristezza per la rievocazione che dentro di me avevo fatto di quell’evento mentre non riesco a staccare gli occhi da quel piccolo cimitero immerso nei girasoli.
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“I Caduti marzesi nella Grande Guerra” il libro-reportage di Fabrizio Perri sul dramma del primo conflitto mondiale
È il titolo di una interessante intervista all’autore realizzata da Omar FALVO che si può trovare sul sito SavutoWeb