Mario La Cava [Bovalino (Reggio Calabria), 11 settembre 1908 - 16 novembre 1988]
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Nasce in una famiglia medio borghese, figlio unico di Rocco e Marianna Procopio. Il padre è maestro elementare e piccolo proprietario terriero. La madre, casalinga, poco erudita, possiede un'innata propensione alla scrittura che si concretizza, grazie all'aiuto del figlio, prima con la pubblicazione di alcune pagine dei suoi scritti sulla rivista «Letteratura » nel 1938, poi con il volume completo intitolato Diario e altri scritti edito da Rebellato nel 1962.
Il giovane La Cava mostra fin dalla prima formazione una chiara inclinazione agli studi umanistici ereditata, in parte, dal contesto familiare. Lo zio paterno Francesco, infatti, medico di professione, oltre a dedicarsi alle scienze è uno studioso dell'arte. È lui a identificare l'autoritratto del volto di Michelangelo nel Giudizio universale, una tesi ampiamente spiegata nel libro Il volto di Michelangelo scoperto nel Giudizio Finale (Zanichelli, 1925).
Oltre alla madre e allo zio, un altro parente, Francesco Perri, verso il quale La Cava nutre una sincera ammirazione, manifesta doti da letterato, esordendo negli anni dell'adolescenza del giovane come scrittore antifascista e dell'emigrazione meridionale.
La Cava trascorre l'infanzia e l'adolescenza rivolgendo i suoi interessi alla letteratura. Frequenta il liceo-ginnasio a Reggio Calabria, e pur non avendo un rendimento scolastico eccellente, consegue la maturità per poi iscriversi alla Facoltà di Medicina a Roma. Una scelta condizionata più che altro dalla famiglia che lo vuole medico oppure avvocato. È nel 1929 che, dopo tre anni e non molte materie sostenute, decide di abbandonare Medicina e frequentare Giurisprudenza a Siena, dove si laurea nel 1931.
Il periodo trascorso a Roma e a Siena è per La Cava molto importante, frequentando ambienti che più si avvicinano ai suoi gusti e alle sue predisposizioni, ha la possibilità di confrontarsi con una cultura più aperta.
Caratterizzante è per La Cava l'incontro nel 1928 a Bovalino con l'ecclesiastico, filosofo e storico Ernesto Buonaiuti (scomunicato dalla Chiesa per aver appoggiato il movimento modernista ed espulso dalla cattedra universitaria per essersi opposto al fascismo). Buonaiuti giunto in Calabria per condurre delle ricerche su Gioacchino da Fiore, è ospite in quei giorni dello zio Francesco. Sarà lui a esortarlo a mettere in pratica la sua passione per lo scrivere.
Conseguita la laurea La Cava sceglie di far ritorno nella sua amata Bovalino. Non riconoscendosi nel fascismo, in difesa dei suoi ideali democratici, fa della scrittura il suo personale strumento di lotta politica contro il regime.
Non eserciterà mai la professione forense, si dedicherà all'attività di intellettuale, seguendo in maniera totalizzante il suo destino di scrittore.
Nel 1932 avvia il suo percorso narrativo con il racconto Il matrimonio di Caterina (da cui Luigi Comencini nel 1983 trae il film dall'omonimo titolo).
Nell'esordio letterario di La Cava sono già chiari alcuni degli elementi che caratterizzeranno la sua prosa: minuziose descrizioni dei personaggi, osservati e ridisegnati sulla carta con una scrittura semplice e scarna, vengono collocati all'interno di uno scenario più che mai realistico.
Alvaro e Buonaiuti leggono per primi l'opera e riconoscendone i meriti lo esortano alla pubblicazione. Anche Moravia e Adriano Tilgher sono dello stesso parere. Al contrario gli editori a cui viene sottoposto il manoscritto non lo trovano adatto alla stampa. Solo qualche anno dopo, nel 1936 sulla rivista «Caratteri» di Mario Pannunzio trova spazio una sua parte, ma è nel 1977 che per la Scheiwiller viene consegnato al pubblico il racconto completo.
La consacrazione nel panorama narrativo della letteratura nazionale arriva nel 1939: Le Monnier dà alla stampa Caratteri, il suo primo e più celebre libro. Si tratta di una raccolta unitaria di trecentocinquantaquattro ritratti brevi, situazioni di vita reale narrate secondo uno stile classico. L'ironia con la quale presenta i suoi personaggi calandoli nella quotidianità, è lo strumento di cui si avvale per enunciare il degrado sociale del provincialismo calabrese.
La sua produzione letteraria è molto intervallata, a periodi di stampe ne seguono altri di silenzio. Devono passare gli anni del Fascismo e del Dopoguerra, con un riassetto del quadro socioculturale e il riaffiorare della questione meridionale, per leggere nuove opere.
In quel periodo collabora con riviste e giornali come: «Il Mondo », «Il Resto del Carlino », «L'Italiano», «l'Unità», «La Nazione», «Letteratura», «Nuovi Argomenti», «Omnibus», «Paese sera» e «Primato».
Nel 1952 una selezione dei suoi scritti giornalistici redatti tra il 1945 e il 1949 viene pubblicata nel libro I Misteri della Calabria per la casa editrice Meridionale (Jaca Book nel 2003 cura la seconda edizione).
Nel 1953 Einaudi nella collana «I gettoni » pubblica una nuova una versione dei Caratteri (e una terza nel 1980; la quarta ristampa del 1999 è di Donzelli), completa rispetto alla precedente, in parte censurata. L'opera si arricchisce di nuove descrizioni e vede la sostituzione di altre.
Gli anni Cinquanta sono molto fecondi per La Cava non solo letterariamente ma anche per la vita privata, nel 1953 sposa Maria Muscari e dal matrimonio nascono quattro figli, Rocco, Marianna, Caterina e Grazia.
Nel 1954 con Salvatore Sciascia pubblica i Colloqui con Antonuzza (ristampati da Donzelli nel 2000), un libretto dal tema fanciullesco scritto in forma di diario che racconta dell'incontro e delle conversazioni fra l'autore, uomo benestante e Antonuzza, bambina di modeste origini che viene ospitata nella sua abitazione per qualche anno.
Del 1958 sono Le memorie del vecchio maresciallo, pubblicate da Einaudi (la seconda edizione del 2000 è di Donzelli) il primo vero tentativo di creare un'opera che più si avvicini alla forma del romanzo. Affida quindi alle parole di un maresciallo quasi centenario la narrazione di fatti e personaggi del posto in una sequenza di ricordi.
Nel 1959, da Parenti, viene dato alle stampe Mimì Cafiero (ripubblicato da Rubbettino nel 2006), il libro che per la critica segna la conversione totale di La Cava al romanzo. Egli si sforza di superare la dimensione del frammento e scrive un romanzo dialogato ambientandolo in una Reggio Calabria dei primi anni del fascismo. Purtroppo nonostante la potenzialità del personaggio il libro non convince. Il "caso" di esasperato gallismo meridionale penalizza significativamente l'opera.
Nel 1962 arriva Vita di Stefano per l'editore Salvatore Sciascia (ripubblicato da Ilisso-Rubbettino nel 2006), ritratto di un giovane dalla spiccata sensibilità che si vede e si sente uno sconfitto. L'autore lo segue nel suo stato di declino fino alla resa definitiva: la morte.Nel 1967 esce per Fazzi (riedito da Brenner nel 1985 e daEdicampus nel 2011) Viaggio in Israele, un romanzo-reportage (inviato dal «Corriere Meridionale » di Matera a Gerusalemme, La Cava segue il processo ad Adolf Eichmann), un testo in cui l'autore abbandona la visione del piccolo paese per addentrarsi in tutt'altra cultura.
I romanzi successivi arrivano dopo un nuovo periodo di buio editoriale. Prima di interrompere la sua attività di scrittore a causa di problemi di salute, La Cava compone Una storia d'amore pubblicata da Einaudi nel 1973, dove riemergono figure paesane deluse e umiliate incorniciate in un'atmosfera chiusa e angosciosa; I fatti di Casignana editi ancora da Einaudi l'anno seguente (riproposti nel 2019 da Rubbettino), dove sperimenta il romanzo storico, consegnando alla narrativa un'opera tra le più significative sulla lotta contadina calabrese, negli anni successivi alla Prima guerra mondiale; La ragazza del vicolo scuro del 1977 pubblicato da Editori Riuniti in cui si mantiene il filone storico-descrittivo meridionalista sfociando nella contestualizzazione più tragica. Un racconto di vita comune, dove l'anormalità diventa normalità.
Dell'ultimo periodo della produzione lacaviana ricordiamo: Terra dura (Logos, 1980), una raccolta di scritti concepitacome un'antologia scolastica; Viaggio in Lucania (L'arco edizioni, 1980), che racchiude le impressioni giornalistiche dell'autore nel corso di un viaggio del 1952 in terra lucana; Viaggio in Egitto e altre storie di emigranti (Scheiwiller, 1986), il cui tema è l'emigrazione e il disadattamento di coloro che lasciano la propria terra; Tre racconti (edizioni della Cometa, 1987), dove in successione vengono caratterizzati tre personaggi accomunati dallo stesso triste destino.
Fitta è anche l'attività di La Cava come divulgatore culturale. La passione civile caratterizza molti di questi suoi incontri. Fra le sue ultime conferenze ricordiamo quella del 1985 tenuta nel salone della Provincia di Cosenza su iniziativa dell'Istituto calabrese per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea.
Morì a 80 anni nel suo paese natale. In sua memoria e per valorizzare la sua attività a Bovalino è nato il «Caffè letterario Mario La Cava».
Del 1988, poco prima di morire, sono le Opere teatrali (Brenner editore) in cui sono racchiusi i pezzi scenici: Hai avuto schiaffi sulla tua faccina!; L'Onorevole Bernabò. Commedia in 3 atti; La morte del papa; Il procuratore di matrimoni; Un giorno dell'anno).
Dello stesso anno: Una stagione a Siena (Edizioni Managò), il suo ultimo lavoro. In questo romanzo autobiografico La Cava racconta se stesso, nascondendosi dietro la voce di un narratore, e fa di Paolo il suo alter ego.
Sono postume, oltre quelle già citate, le opere: Ritorno di Perri: scritti su Francesco Perri (Jaca Book, 1993); La melagrana matura (Donzelli, 1999); Il dottor Pesarino (Arti grafiche edizioni, 2001); La Repubblica Cisalpina (Città del sole edizioni, 2008); I racconti di Bovalino (Rubbettino, 2008); Corrispondenza dal Sud Italia (Città del sole edizioni, 2010); Lettere dal centro del mondo 1951-1988 (Rubbettino, 2012); Lettere da Reggio Calabria (Nuove edizioni Barbaro, 2015); Omissione di soccorso (Città del sole edizioni, 2018).
(Ilenia Marrapodi) © ICSAIC 2019
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Nota bibliografica
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- Pasquino Crupi, Mario La Cava, Pellegrini, Cosenza 1968;
- Mario La Cava, Lettera all'editore, in Il matrimonio di Caterina, Scheiwiller, Milano 1977;
- Antonio Delfino, Gente di Calabria, Editoriale Progetto 2000, Cosenza 1987;
- Patrizia Bartoli Amici, Mario La Cava, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 63, anno 2004, Enciclopedia Treccani, Roma 1990, ad vocem;
- Antonietta Cozza, Mario La Cava: vita e letteratura nazionale, Periferia, Cosenza 1995;
- Pasquino Crupi, Storia della letteratura calabrese: autori e testi, vol. IV, Periferia, Cosenza 1997;
- Renato Nisticò (a cura di), La narrativa di Mario La Cava nella letteratura italiana del Novecento, Meridiana libri, Corigliano Calabro, 2000.
- Pasquino Crupi, Un intellettuale probo, un grande scrittore classico, «Lettere Meridiane », IV,16, 2008, pp. 12-13;
- Luigi Tassoni, Dolci follie quotidiane, «il Quotidiano della Domenica », 5 settembre 2010, pp. 18-19;
- Giorgio De Rienzo, Elogio della provincia, terra per scrittori, «Corriere della sera », 31 gennaio 2011, p. 26;
- Carmine Chiodo, Fortunato Seminara e altri scrittori e poeti calabresi del Novecento, Universitalia, Roma 2014;
- «Filorosso» (IV, 1, 1989 e IV, 2, 1989), gli dedicò grande attenzione con scritti di Saverio Strati, Antonio Piromalli, Pasquino Crupi, Vincenzo Crupi, Olindo Martucci, Enzo Misefari, Carmelo Filocamo, Giovanni Scarfò, Gaetano Briguglio, Giuseppe Italiano, Pietro Leone, Mario Strati, Giuseppe Falcone, Aldo Canturi e Mario Falzone.